“Volevo solo giocare a pallavolo” di Silvia Biasi

di Hellen Magagna
Silvia Biasi | Atleta paralimpica | Sitting volley | Fuori la voce

Si chiama “sitting volley” ed è lo sport che ha permesso di dare luce a chi il destino ha tolto qualcosa.

Nel numero precedente, ho avuto l’occasione di intervistare Giulia Callegaro per dare voce alla sua rinascita, dopo un’amputazione transfemorale. Conoscevo già la sua storia, siamo amiche. Ma ho fin da subito pensato che la sua storia non dovesse rimanere per pochi. Perché? Perché coraggio, forza, costanza e determinazione sono gli ingredienti chiave della ricetta della felicità, ad oggi, di Giulia. E questi ingredienti li ho rivisti nel libro che ho letto di Silvia BiasiVolevo solo giocare a pallavolo”. 

Si chiama “sitting volley” ed è lo sport che ha permesso di dare luce a chi il destino ha tolto qualcosa. Ma non solo. È lo sport che ha portato Silvia Biasi a raccontare la sua esperienza perché altri ragazzi e ragazze trovino il coraggio di vedere nella loro “diversità” una “normalità”. Anzi una “specialità”

Ed ecco che il 22 luglio è uscito in libreria il suo libro “Volevo solo giocare a pallavolo”, edito da Ediciclo Editore. Un libro nato così, per caso. Ci sono storie di donne che vanno raccontate. Ci sono storie e esperienze che devono diventare modello e fonte di ispirazione per altre persone. Va fermato il tempo per mettere nero su bianco una memoria che altrimenti rischia di scomparire, come spiega Silvia. Ma importante è stato raccontare le storie con tutta la leggerezza possibile. Non superficialità. Ma affrontare la vita con il sorriso, gioia, forza e coraggio. Quella raccontata non è solo la storia di Silvia, ma anche delle sue straordinarie compagne di squadra che portano avanti i colori e il coraggio dell’Italia: Sara Desini, Francesca Fossato, Giulia Bellandi, Raffaella Battaglia, Flavia Barigelli, Roberta Pedrelli, Elisa Spediacci, Francesca Bosio la sua compagna di stanza, Eva Ceccarelli, Sara Cirelli e Giulia Aringhieri. Ragazze che, con il loro esempio, vogliono dire al mondo che la disabilità non può impedire di realizzare un sogno, neanche quello di giocare a pallavolo. 

Volevo solo giocare a pallavolo | Silvia Biasi | Fuori la Voce

Quella del sitting volley in Italia è la storia di una straordinaria impresa sportiva. Una disciplina paralimpica della pallavolo, che in pochi anni ha raggiunto i primi posti in Europa e nel mondo, fino a strappare una storica qualificazione ai Giochi Olimpiaci estivi. Unica squadra italiana ad aver ottenuto un risultato del genere. Oltre ai numerosi traguardi ottenuti, il sitting volley è rapidamente divenuto un nuovo e fondamentale tassello nella costruzione di un’idea di sport come strumento di inclusione, integrazione e di benessere. Ma soprattutto di trasformare culturalmente la nostra società offrendo una diversa percezione della disabilità. È il vero sport rivoluzionario: una rete che sembra più una rete da tennis e che si gioca seduti. “Quando tocchi la palla non puoi staccare le natiche da terra, quando schiacci non salti, quando ti muovi non usi i piedi, quando muri non ti sollevi. Ti siedi e dai il meglio di te. È un’utopia che si realizza, una sfida con la S maiuscola”.

Sitting volley squadra | Volevo solo giocare a pallavolo | Silvia Biasi | Fuori la Voce

Silvia Biasi è una persona speciale. Classe 1988. È il libero della Nazionale di sitting volley e gioca con l’ausilio di una protesi a una mano. Aveva 5 anni quando un macchinario agricolo le portò via la mano destra. Questo non le ha impedito di giocare a pallavolo a livello agonistico. Quello che vuole dimostrare è che il coraggio e la determinazione fanno superare qualsiasi ostacolo. Ha girato il mondo con la maglia azzurra, ha difeso l’Italia quando la squadra era agli esordi internazionale, è cresciuta fino a toccare le alte vette delle classifiche, un quarto posto ai Campionati Mondiali e un argento ai Campionati Europei ed è andata a Tokyo dopo la lunga pandemia. Il suo motto? «Se una cosa non la puoi fare, trova il tuo modo di farla lo stesso»

Gioco a pallavolo senza una mano. Mi manca la mano destra. Sì, proprio una mano. E se giochi a pallavolo la mancanza di una mano non è cosa da poco. E di solito te la fanno notare! Il segreto è non scoraggiarsi. E io non ho mai perso il coraggio.

Silvia Biasi | Volevo solo giocare a pallavolo | Sitting Volley | Fuori la Voce

Andrea Lucchetta la paragona a “un gatto in difesa, si muove leggera e senza paura, per cercare di tenere in vita i suoi sogni”.

In Italia la pallavolo da seduti è ufficialmente riconosciuta dal 2013, ma nel mondo già coinvolge oltre 10.000 atleti in 75 Paesi. “Spero che alcune delle persone con disabilità che ci seguiranno in tv possano appassionarsi a uno sport e iniziare a praticarlo.” – dice Silvia – “A me ha aiutato a credere in me stessa”.

Sicuramente quello di Silvia Biasi, e di tutte le persone che hanno collaborato, è stato un buon motivo per fare del bene. Il libro , infatti, sostiene la Energy Family Project (APS) un’associazione di genitori e famiglie che condividono le stesse esperienze rispetto alle problematiche di agenesia e amputazione degli arti dei propri figli.

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