Si chiamano social, ma nascondono pericoli e solitudine

di Alessia Da Canal

I pericoli online e offline, nascosti dietro innocenti profili

“Ma ucciditi, muori, non vali niente…”

Parole come fendenti, tra ragazzini che debuttano in società e piano pia-no cercano di diventare autonomi dai genitori. Lo chiamiamo cyberbullismo e si stima che il 30-40% dei ragazzi abbia ricevuto dei messaggi denigratori di ogni genere.

Accade tutto dietro uno schermo, quello del computer ma soprattutto del cellulare che, particolarmente in tempo di pandemia, sembra essere l’unico ponte verso l’esterno.
Offese molto forti e pericolose soprattutto perché le vittime delle angherie verbali non hanno ancora raggiunto uno sviluppo emotivo per reggere tutto questo.

Lo conferma la dottoressa Laura Pettenò,  psicologa, psicoterapeuta, che da oltre quarant’anni vede ragazzini in difficoltà. In questi anni i genitori non li portano da lei per l’uso smodato del cellulare, ma spesso questo emerge all’origine dei loro problemi.

“In una classe già il fatto di non aver socializzato con i compagni o essere soggetto di derisione o di squalifica provoca nei ragazzi fenomeni di depressione, isolamento, qualche volta di autolesionismo, senso di vuoto…  E’ nell’ultimo decennio che abbiamo ragazzi per cui il problema è la paura del giudizio degli altri, di essere scherniti senza pensare a delle cose specifiche, senza avere avuto delle esperienze dirette”.

“Non me la sento di demonizzare i social – continua la dottoressa Pettenò – come sempre è l’uso sbagliato che si fa delle cose e questo riguarda giovani e meno giovani. Ma mentre un adulto è in grado di assorbire l’eventuale colpo, anche un eventuale assalto dei cosiddetti leoni da tastiera o degli haters, i ragazzi di adesso non hanno uno sviluppo emotivo tale da poter reggere questo”.

QUANTA SOLITUDINE…

I social, se da un lato nascono per unire singole persone o gruppi di persone, dall’altro sono in grado di scavare solchi profondi e di coltivare la solitudine, a partire dal linguaggio.

Si chiamano social, ma nascondono pericoli e solitudine

“Mi ricordo un ragazzo che aveva problemi di socialità con la classe. Gli consigliai di salutare i compagni, quando entrava in classe. Ma lui risposte che non lo poteva fare, perché noi non ci salutiamo quando ci incontriamo. Gli chiesi come si salutassero e lui mi disse che in classe spesso e volentieri il saluto può essere un’offesa, una parolaccia, una presa in giro. E non è l’unico che mi ha confermato questa cosa”.

Parlandosi in chat quasi per monosillabi, con frasi brevi, velocissime, senza riflettere sull’effetto che le parole hanno sull’altro, i ragazzi non sviluppano la capacità di articolare un discorso.
Senza contare che dietro uno schermo non c’è possibilità di distinguere la tonalità del linguaggio.

Questo lo sanno bene anche gli adulti, che spesso fraintendono i messaggi.

“Paradossalmente, chi della mia generazione giocava in strada con gli altri bambini e ragazzi, l’esperienza con gli altri era così forte che forse potevi anche reggere determinate offese e derisioni. Ma i ragazzi oggi hanno pochissima esperienza sociale, la maggior parte mediata da adulti.

La quantità di contatto con i coetanei è apparentemente elevata, ma la condivisione di momenti esclusivi dove se la sbrigano tra di loro sono pochissimi. La ricreazione, qualcosa prima o dopo l’entrata o l’uscita da scuola. Anche le attività sportive sono mediate dagli adulti. I ragazzi ritengono di avere delle amicizie perché le sentono via telefonino o computer.

Ma di fatto lo scambio sociale è veramente poco. In più la maggior parte delle emozioni attraverso l’uso del device non sono positive. C’è il momento di invidia, rabbia, di squalifica. La maggior parte sono appartenenti più alla sfera della negatività più che a quelle cose che possono scaldare, il senso dello stare vicino.

C’è tanta solitudine e un apparente bisogno dell’altro mediato dalla dipendenza dal social che lo fa sentire ancora più solo”.

COGLIERE IL DISAGIO, OSSERVARE ANCHE I SILENZI, DIALOGARE

Cosa possiamo fare per i nostri figli, per proteggerli da tutto questo?

“Quando passano tante ore nelle loro camere davanti ai loro strumenti e finiamo per dire loro smetti di usare il cellulare… arriviamo troppo tardi. Ma non vuol dire che non sia possibile avere un dialogo. Se abbiamo un figlio o una figlia che ha esperienze negative lo vediamo.

Bisogna continuare a guardarli, cogliere gli aspetti anche dai silenzi, anche quando ci allontanano mandandoci a quel paese. Ed è importante anche cogliere segnali per vedere se usano la loro rabbia e aggressività attraverso lo schermo. Anche quelli sono adolescenti che hanno bisogno di aiuto.

Si chiamano social, ma nascondono pericoli e solitudine

Io personalmente ritengo che i ragazzi non debbano avere la privacy che vorrebbero. Non esiste che un ragazzino di 12,13 anni rivendichi la privacy, perché è in contatto con il mondo. Lo dobbiamo proteggere e monitorare anche perché lui non sia veicolo di offesa verso l’altro.

So benissimo che i figli ti escludono. Ma sapete perché il dialogo è difficile? Perché a loro non vengono rivolte domande, ma vengono spiegate delle cose, dati dei messaggi, raccomandato qualcosa.

Ma se a un ragazzo fai domande come uno che vuole sapere senza giudicare, senza fare raccomandazioni, i ragazzi parlano. Forse bisognerebbe non apparire preoccupati, ma chiedere loro se sono turbati da qualcosa, se hanno visto qualcosa, cosa hanno provato, se si sentono soli.

IL CELLULARE, UNA VERA DIPENDENZA

“È utile sapere che il cervello di un ragazzo fino a 14,15 anni non è integrato, anche se riesce a usare il linguaggio, la logica, anche manipolando. Non è integrata la parte emotiva con quella che coordina le scelte e le azioni e questo alimenta molte delle cose che creano dipendenza, con la ripetizione.

Se sei stanco, stai studiando, hai il telefonino vicino, il telefonino vince, perché la mente è come una scimmia, vorrebbe scappare, andare in giro… vediamo se c’è qualcuno che mi ha chiamato o mandato un messaggio.

Apri internet e quel sistema è fonte di piacere, con immagini che cambiano con velocità, in movimento, c’è una moltitudine di stimoli e io vengo catturato da quello strumento. La mente si sposta e il telefonino vince la battaglia.

E domani, dopodomani la tua mente avrà scoperto un circuito che farà sentire l’esigenza di quel tipo di piacere. Non esiste niente nella realtà dove tu possa ottenere piacere, una gratificazione così velocemente. Con un dito.

Allora spesso lo dico ai ragazzi: ci hai messo tanti anni per renderti indipendente dai tuoi genitori, vuoi diventare dipendente da qualcosa che ti porta via la libertà di scegliere quello che avresti veramente voglia di fare?”.

www.laurapetteno.com

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