Protezione Civile, la solidarietà nel DNA

di Alessia Da Canal

Al valico di Fernetti con i volontari della protezione civile del FVG. Dall’avvocato alla capotreno, dal sub al portiere

Martina arriva verso la mezzanotte, al valico di Fernetti, porta di entrata in Italia, dalla Slovenia, per migliaia di profughi Ucraini. Fino al mattino assisterà, assieme alla sua squadra, le persone che arrivano in pullman, in furgone o in auto, in questo primo punto di accoglienza creato in Friuli Venezia Giulia. Un piccolo villaggio dove le persone vengono registrate, c’è assistenza medica se ne hanno bisogno e si può mangiare qualcosa. Ci sono anche giochi e peluche per i bambini spesso stanchissimi e increduli, e non mancano assorbenti e pannolini e tutto ciò che potrebbe tornare utile per della gente che spesso ha portato con sé solo la speranza di un futuro senza più bombe. 

Martina è ingegnere civile e passa con disinvoltura da una divisa all’altra: lasciata quella da capotreno, il suo lavoro ufficiale, da 12 anni indossa quella della Protezione Civile da volontaria, la sua passione. 

Ho cominciato a 18 anni appena fatti. È stata una scelta interamente mia. – ci racconta – Ho cominciato grazie ad un’attività con le scuole che promuoveva il volontariato in protezione civile e ti sfidava a resistere una settimana con i volontari. Già me n’ero innamorata. Tre giorni dopo c’è stato il terremoto de l’Aquila e non ho avuto dubbi su quale sarebbe stato il mio futuro come volontaria.     

Volontari protezione civile

Stefano è un coordinatore, ci dice che a Fernetti, ma anche nell’altro valico con l’Austria si stanno spendendo tantissime squadre che vengono anche da lontano e dopo aver fatto la notte si fanno anche 100-200 chilometri per tornare a casa

Abbiamo la sensazione che le parole solidarietà e aiutare siano nel DNA di questa regione e non possiamo dimenticare come il Friuli Venezia Giulia sia stato il più grande esempio, quando c’è stato da rimboccarsi le maniche all’indomani del terremoto che nel 1976 lo mise in croce.

Io ho dei ricordi legati al terremoto. – ci racconta il presidente del Circolo Sommozzatori di Trieste, presente per dare un aiuto – Da lì è nato tanto. Il concetto di protezione civile si è espanso a livello nazionale e credo che siamo stati un grosso esempio. 

 

Volontari protezione civile

Massimo e Andrea si passano gli scatoloni con i doni arrivati dalle associazioni o dai privati. Sono zio e nipote e fanno parte della Protezione Civile di Sequals

Mia moglie mi pende in giro – ci racconta sorridendo -. Abitavo in un altro paese, vicino alla sede della protezione civile e pensavo: ‘Questi mi sembrano dei menagrami che aspettano la catastrofe per uscire’. Ero ignorante, nel senso che non conoscevo proprio la Protezione Civile. Poi mi sono trasferito in un altro comune, sono stato eletto vicesindaco con la delega alla Protezione Civile e ho imparato a conoscere questa realtà. Sono delle missioni. Se ci diamo tutti una mano qualcosa migliora

È lui che ci presenta Andrea, il suo nipote 17enne, spiegandoci che “si può far parte della Protezione Civile dai 16 anni in su, con il consenso dei genitori e l’assenso del sindaco. Certo il minore non può essere impiegato in scenari di particolare operatività, come scene meteorologiche, alberi caduti, in caso di terremoto, tendopoli o negli incendi boschivi; ma dai 18 anni in su, dopo aver fatto i corsi di formazione, si può partecipare a tutte le attività”

Mio zio mi ha aperto le porte di questo mondo. – dice serio e motivato Andrea – Mi ha dato uno stimolo in più, oltre a voler fare qualcosa di utile per la comunità. 

La voglia di aiutare è tanta, a livelli più o meno organizzati. A Fernetti c’è il furgone di Emergency, ci sono i volontari dell’organizzazione internazionale UNHCR, ma ci sono anche tante persone comuni che arrivano in processione per donare qualcosa. Una coppia porta della pasta allo zinco per il sederino dei neonati, una famiglia ha confezionato dei sacchettini con una cioccolata, una merendina, un succo e un pensierino per i bambini. I più piccoli arrivano con i loro giocattoli e li mettono nei cestoni a disposizione dei piccoli in fuga dall’Ucraina. C’è una signora che, attraverso una scuola internazionale di lingue di Trieste, ha raccolto donazioni di ogni genere. Ci racconta della bimba inconsolabile che oggi non voleva nulla, ma si è sciolta in un piccolo sorriso davanti a un Kinder e del volto pietrificato di molte donne, grate anche per un piccolo tubetto di crema, dopo aver passato giorni al freddo con le mani tutte screpolate. 

Un’anziana signora – ci confida un volontario – qui nel vicino supermercato ci ha chiesto se poteva donare qualche uovo di Pasqua. È tornata con un intero scatolone di uova e un altro di coniglietti di cioccolata. Ci ha detto che da piccola aveva subito l’esodo giuliano-dalmata e si era riconosciuta in questi piccoli che fuggono dal loro paese. 

Sono tutti entusiasti di poter aiutare. E la gratificazione sta proprio nei sorrisi strappati a chi soffre. “Soprattutto dei bimbi, che di fronte ad una merendina sono entusiasti – dice Martina – basta così poco che il cuore si apre”.  

Tra i volontari ci ha colpito un omone grande e grosso, arrivato con lo scooter a Fernetti, sfidando la bora con la sciarpa della sua Triestina. Era alla settima notte al valico. Di giorno partecipa ad un corso di formazione per diventare portiere, ma in hotel. Di notte è qui per chi scappa e non ha nulla. Lo ascolto quasi di nascosto mentre racconta alla sua collega che gli sono scese le lacrime di fronte alla bambina disperata a cui è andato incontro con un orsacchiotto. Le lacrime erano per il sorriso che gli ha regalato la piccola. Ma queste cose non si raccontano al microfono, restano nel cuore, punto e basta

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