“Aria Ferma” in Carcere Non è piaciuto

di Redazione
Film Aria Ferma

Il film Leonardo di Costanzo
Con Toni Servillo e Silvio Orlando

Ne abbiamo parlato con un detenuto di lungo corso che per motivi di privacy manterrà l’anonimato.

Aria Ferma è una pellicola candidata a 11 David di Donatello che ha suscitato molto apprezzamento di critica e pubblico. Tra i detenuti i film sulle carceri destano sempre molto interesse, lei ha visto il film cosa ne pensa?

Mi ha deluso. Conosco il carcere da 30 anni, sono un detenuto di lungo corso e ho ‘visitato’ circa 50 istituti, compresi Asinara e Pianosa, posso dire di conoscere bene la realtà carceraria. In questi anni la società libera si è completamente trasformata, emancipata, tecnologizzata ma anche la vita detentiva non è rimasta (aria) ferma. Soprattutto è notevolmente migliorata rispetto agli anni ’80, ’90. E questo nel film non si percepisce, restituisce una visione del carcere obsoleta e non più realistica. E proprio perché artisticamente e poeticamente mi è sembrato riuscitissimo, mi dispiace che possa sembrare anche veritiero.

Credevamo nella sua posizione sarebbe stato un sostenitore dell’inutilità del carcere e molto critico nei confronti del sistema punitivo vigente.

Lo sono! In passato i rapporti interpersonali tra detenuti e agenti penitenziari erano tesi, improntati all’odio reciproco, sul distacco emotivo. Ma, per fortuna, da molti anni le cose sono cambiate in positivo. Non dico che non esistano più sacche di reciproca intolleranza o detenuti scostumati e irrispettosi e agenti penitenziari poco professionali e anche violenti, razzisti e pieni di pregiudizi. D’altronde il carcere non è altro che la rappresentazione su scala millesimale della società civile. 

Allora cosa vuole dire?

Che oggi in carcere le relazioni umane sono improntate sul reciproco rispetto, sui diritti e sui doveri. Agenti cinici come quelli del film sono una rarità e non sono ben visti nemmeno dai loro stessi colleghi. Il film è bello, uno spaccato di umanità commovente, gli attori recitano in modo magistrale, ma è un film anacronistico eppure è ambientato nel 2013. Per esperienza posso affermare che quell’intolleranza rancorosa verso i detenuti rappresenta il passato, per fortuna. Se il film fosse ambientato negli anni ’80-‘90 sarebbe stato meraviglioso, pur nella sua bellezza artistica, contribuisce a rafforzare la narrazione errata che viene fornita della vita in carcere.

Però esistono ancora delle carceri in cui le tensioni interne, non soltanto tra agenti e detenuti, ma anche tra gli stessi detenuti, necessitano di miglioramenti.

Esistono ancora agenti che hanno un’avversione verso i detenuti e sono proprio queste poche mele marce a rovinare l’immagine dell’intero corpo della Polizia Penitenziaria. Inoltre, a causa di un corporativismo esasperato, invece di prendere dei provvedimenti verso le mele marce, si tende ad insabbiare i comportamenti censurabili e abusi. Tranne quando i detenuti che hanno subito violenze non abbiano una famiglia benestante che possa permettersi la difesa dei bravi penalisti! Vorrei dire che la distinzione proposta dai media tra carceri punitive e carceri aperte, ovvero tra ‘carceri modello’ e ‘carceri antiquate e indecenti’, non è corretta. Non è solo la struttura architettonica a regolarizzare la vita intramuraria, le mura delle carceri, da sole, non hanno il potere di decidere come gestire la vita dei carcerati.

Quindi secondo lei sono cambiati gli agenti, ma i detenuti? Statisticamente sappiamo che i reati coinvolgono in modo particolare individui provenienti da strati sociali svantaggiati. 

C’è una maggiore preparazione professionale nel corpo della Polizia Penitenziaria e anche tra i detenuti vi è una migliore scolarizzazione, favorita anche dalla possibilità di studiare che la vita carceraria offre oggi. Tutto contribuisce a rendere meno conflittuali le relazioni. Si sa che il dialogo favorisce la soluzione dei problemi, e chi ha studiato è molto meno propenso a ricorrere alla violenza. Ma i problemi in carcere sono tanti e vorremmo tanto poter muovere un po’ l’aria, per farli sentire anche là fuori, solo portando a conoscenza della realtà interna potrebbero forse cadere pregiudizi e migliorare la situazione che, nonostante si voglia credere, non rimane chiusa e isolata dalla società alla quale dovremmo ritornare ‘rieducati’. 

Articolo di Pamela Ferlin

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