Nelle strade della prostituzione migrante

di Francesca Campanini

Ѐ alla luce della luna che si scorge l’altra faccia delle nostre città: il profilo che non si mostra, la realtà che si sommerge e marginalizza.
Ma le lavoratrici sessuali di strada esistono e, contro i tabù e i pregiudizi, Fuori la Voce le è andate a cercare.

La notte è, per i più, il momento del ritiro o dell’evasione: di sera gli impiegati rientrano a casa dal lavoro e le serrande dei negozi si abbassano. In centro e nei quartieri residenziali gli allegri si riversano in bar e ristoranti. Ci sono persone che però la notte la vivono nelle zone periferiche, svolgendo la propria professione di lavoratrice sessuale sulle strade che molti frequentano solo fino all’ora in cui escono dall’ufficio al pomeriggio. Allora i luoghi che nelle ore diurne sono popolati da imprenditori in giacca e da operai in divisa, di notte diventano scenario di un’altra realtà, quella della prostituzione migrante di strada.

Quando parliamo di queste zone periferiche a Padova, parliamo della zona industriale di Corso Stati Uniti e delle sue traverse, di Limena, dell’Arcella e del Plebiscito. L’Unità di Strada Notturna, gestita dalla cooperativa sociale Equality Onlus con la collaborazione dei volontari di Associazione Mimosa, si occupa di frequentare queste strade per offrire assistenza, monitorare il fenomeno sul territorio e far emergere eventuali situazioni di sfruttamento sessuale.

Così partiamo dalla sede dell’Associazione verso le 22, con l’autista volontario di Mimosa e l’operatrice sociale di Equality Onlus. Ci dirigiamo verso la zona industriale padovana, accostiamo quando vediamo, nel contrasto tra l’ombra della notte e le luci dei lampioni, sagome di figure femminili. Ne incontreremo ventuno nel corso della serata. Stanno in piedi sui marciapiedi, sedute sui muretti, appoggiate al cofano della loro auto o, in rari casi, sedute nel loro camper, aspettando l’arrivo dei clienti.

Nelle strade della prostituzione migrante - Nicola e Letizia
Nicola di Associazione Mimosa e Letizia di Cooperativa Sociale Equality Onlus

Ci fermiamo e scendiamo dalla Peugeot Bipper arancione con cui ci muoviamo. Con thermos e bicchieri tra le mani e una borsetta a tracolla contente gel e i “portafortuna”, cioè i preservativi che si offrono alle lavoratrici per incoraggiarle alla tutela della salute e alla prevenzione, procediamo con il contatto.

L’operatrice sociale di Equality Onlus che gestisce l’uscita conosce già quasi tutte le donne, chiede loro come va la serata lavorativa e come stanno in generale.

Offriamo loro il tè ma anche, se lo desiderano, aiuto per la prenotazione del vaccino contro il Covid-19. Perché l’esposizione al rischio di contagio per queste persone è alta e spesso le trafile burocratiche e le barriere linguistiche le disincentivano ad attivarsi per prendere un appuntamento e mettersi in sicurezza.

Parliamo del più e del meno e il più delle volte sembriamo sentirci tutte a nostro agio: sia le lavoratrici sessuali che l’operatrice sociale, ma anche io che per la prima volta ho a che fare con questo mondo. C’è, tra le donne, chi chiacchiera di più e per esempio ci mostra sul cellulare fotografie di quando, da crossdresser, si esibiva come Drag Queen cantando in playback e sprizzando quella stessa energia con cui ride e scherza in quel momento sul ciglio della strada. I pixel dello schermo restituiscono l’immagine ammaliante di un corpo alto e mascolinamente muscoloso, con la pelle nocciola, che indossa un vestito pomposo a lustrini e domina il palcoscenico.

C’è anche chi invece è di poche parole, risponde sinteticamente e accetta di fretta i “portafortuna” prima che noi ce ne andiamo. Ѐ fondamentale capire quanto tempo le donne ci vogliono o ci possono dedicare, per evitare di rubargliene troppo e per rispettare i tempi e le disposizioni di ognuna.

Con il rumore delle auto che sfrecciano in sottofondo parliamo del più e del meno, a riproporsi è spesso l’argomento pandemia e le conseguenze che essa ha prodotto sul lavoro e sulla vita delle lavoratrici sessuali. Il fatto stesso che questa sera sia calma, e che quindi ci sia tempo per qualche chiacchiera in più, è l’effetto della diminuzione di clienti sulla strada dopo i lockdown.

Si sono disabituati forse, ipotizzano le donne, oppure hanno iniziato a preferire altre modalità di fruizione di questi servizi. Lo spostamento sull’indoor nel mercato del lavoro sessuale è stato un fenomeno importante di questi tempi: molte donne lavorano in stanze o in appartamenti, affittati anche su siti per case vacanze per brevissimi periodi, e si spostano in continuazione in giro per l’Italia. Del resto di appartamenti fissi loro che, in quanto migranti e frequentemente vittime di tratta, non di rado sono senza documenti in regola, faticano a trovarne. D’altra parte però non si tratta solo di difficoltà tecniche: la scelta della strada o dell’indoor ultimamente è divenuta forzata in alcuni casi per via della pandemia, ma per molte donne resta una questione della propria predisposizione, della ricerca di condizioni che mettano il più possibile a proprio agio nello svolgere il proprio lavoro.

Un lavoro appunto, ma un lavoro particolare.

Nelle strade della prostituzione migrante

Una delle donne che incontriamo accenna a questa specificità, senza entrare nei dettagli e anzi spendendo più gesti che parole. Porta la mano vicino alla tempia e mima il gesto delle “rotelle che girano e vanno fuori posto”.

Dice che bisogna stare attente perché se non lo si fa nei propri modi, tempi e luoghi, quelli in cui lo si può svolgere nella maggiore serenità e minore preoccupazione possibile, questo lavoro può far impazzire

Lei, per esempio, sostiene che non riuscirebbe a lavorare indoor: chiusa tra quattro mura sarebbe sopraffatta dall’ansia, la strada è il suo posto di lavoro e di “smart working” non ne vuole sentire parlare.

L’impatto psicologico di queste attività è un aspetto da non sottovalutare mai, nemmeno quando il lavoro è svolto in autonomia, ma quando è addirittura presente una situazione di sfruttamento ecco che i risvolti sembrano essere ancora più tragici. Si percepisce in alcuni casi, soprattutto nei primi contatti e con le ragazze più giovani, la loro inquietudine. Si guardano attorno circospette perché spesso sono controllate, a vista o costantemente in chiamata con l’uomo che le sfrutta. Quindi parlano poco e sono visibilmente agitate, ancora non conoscono i clienti, né i volontari e gli operatori sociali di Mimosa ed Equality.

Durante l’uscita incontriamo una di queste giovani ragazze spaesate, al massimo ventiseienne. Ci dedica poco tempo e noi non possiamo rubargliene troppo, quindi ce ne andiamo. L’operatrice sociale di Equality spera di incontrarla di nuovo. Ѐ molto probabile che ce ne sarà l’occasione, inoltre è proprio a partire da questi primi contatti, spesso diffidenti, che si crea un passo alla volta una relazione di fiducia, che è la base per offrire aiuti e indirizzare verso un percorso di fuoriuscita da questo mondo.

Una fonte interna al sistema antitratta che lavora proprio per l’emersione delle condizioni di sfruttamento, di cui manteniamo riservati ruolo e identità, ci spiega che se non si riesce ad agganciare queste ragazze da giovani, è difficilissimo che ne escano più avanti. Sono l’eccezione i casi in cui una donna, magari quarantenne, che lavora sulla strada da vent’anni decide di cambiare vita. Spesso a rendere il tutto più complicato è anche il subentro di dipendenze da alcool e droghe, molto diffuse nell’ambiente come metodo di evasione per via dei danni psicologici che certe condizioni lavorative producono.

Verso l’una del mattino il nostro giro in bipper finisce e rientriamo in sede, all’Associazione Mimosa. La cartellina con gli appunti, le osservazioni sui contatti e i numeri della serata conta un paio di fogli scritti fitti questa notte, scrupolosamente, dall’operatrice sociale. I dati andranno in un sistema di monitoraggio del fenomeno della prostituzione migrante di strada esteso a livello regionale e nazionale. Perché certe battaglie, quelle contro lo sfruttamento e le violazioni dei diritti umani, si combattono in rete.

Noi rientriamo a casa stasera, i volontari e gli operatori usciranno di nuovo domani o il giorno successivo e le ragazze saranno ancora lì, in piedi sul marciapiede, sedute sul muretto o appoggiate al cofano della loro auto, sul ciglio della strada.

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