Adolescenza Virtuale: crescere nel 2022

di Redazione
adolescenza virtuale
dottoressa elisa cestari

Dott.ssa Elisa Cestari, psicologa laureata in psicologia Clinico-Dinamica presso l’Università degli Studi di Padova, specializzata in psicoterapia ad orientamento analitico presso l’Istituto Clinico dei Legami Sociali di Mestre. La mia formazione nella salute mentale ed il mio lavoro privato mi hanno portato ad interfacciarmi con la clinica attuale in sempre maggiore cambiamento ed evoluzione, e quella dell’adolescenza, fase carica di criticità, ancor più in questo periodo storico.

Già prima della pandemia la vita relazionale stava prendendo sempre più una forma “virtuale”, non più tangibile e fatta di scambi reali, quanto piuttosto immaginata e mediata dai social, dai “mi piace” e dalla messaggistica, in cui nessuno mette realmente la faccia.

Con l’avvento della pandemia in Italia questo fenomeno si è ancor più sviluppato, utilizzando la tecnologia mediatica come uno strumento utile per continuare ad avere dei contatti con l’esterno nel momento di lockdown. Si vorrebbe ora far diventare questa modalità un “sostituto” alla vita vera, come nel caso dello smartworking o della didattica digitale integrata che sembrerebbero ambire ad essere dei “degni sostituti” del lavoro e della scuola in presenza.

Non si è trattato quindi di un momento “passeggero”, bensì di un fenomeno che ha stravolto ancor di più il modo di fare relazione e legame sociale. Insomma, il nuovo millennio, che già aveva la faccia di un millennio all’insegna dell’innovazione tecnologica, ha messo il “turbo”, velocizzando di molto il processo.

Che effetti ha avuto tutto questo sui bambini e sugli adolescenti?

Gli effetti della pandemia sui bambini e sugli adolescenti potranno essere stimati fra qualche anno, quando lo sviluppo avrà fatto il suo corso, gli attuali bambini saranno diventati adolescenti e gli attuali adolescenti avranno raggiunto l’età adulta e vi sarà stato il tempo di fare ricerche precise sulla questione.

Ad oggi non vi sono studi conclusi, ma sono stati diversi gli allarmi provenienti da istituzioni della salute mentale sin dal 2020 e confermati anche nel 2021.

La situazione allarmante più vicina a noi è stata quella della Neuropsichiatria di Padova, la quale ha messo in evidenza in un’intervista “l’incremento di accessi agli ospedali e l’aggravarsi dei casi specie nella fascia 10-17 anni, con un aumento dei ricoveri in urgenza del 95-96%, soprattutto per tentativi di suicidio, atti gravi di autolesionismo come l’autoinfliggersi ferite e per anoressia“. Sarebbe aumentata di molto pure l’attività ambulatoriale.

adolescenza e psicologia

Un focus sull’adolescenza

Nel periodo dell’adolescenza, caratterizzata da uno sviluppo fisiologico sostanziale che porta il corpo del bambino a trasformarsi più o meno lentamente in quello di un adulto, vi è un passaggio fondamentale. Cominciando a immaginarsi come adulto, con un proprio ipotetico posto nel mondo, chi vive questo cambiamento non si accontenta più della risposta dell’adulto dal quale ha cominciato a distaccarsi. Essendo il “chi siamo” sempre definito da chi ci circonda e dalle parole che ci sono attribuite, se non risulta più sufficiente essere ciò che il padre o la madre hanno voluto finora, il passaggio non vede l’affermarsi di un “Io autonomo dall’altro”. Piuttosto cominciano a diventare sostanziali lo sguardo e le parole dei pari. È presso il gruppo paritario che ogni ragazzo/ragazza comincia a dare nuove risposte al “chi sono”, “chi vogliono gli altri che io sia?”. In questo risulta fondamentale l’interazione con i pari del sesso opposto, con i quali si gioca uno dei punti basilare dell’identità, quella sessuale.

adolescenza e psicologia

Inoltre, in presenza o meglio in presenza di un’assenza, che è quella dell’identità, un ruolo fondamentale lo giocano proprio le identità di gruppo che aiutano il ragazzo a sentire meno l’angoscia del “non sapere” e del “non sapersi definire”.

Già prima della pandemia nella clinica aveva cominciato a notarsi un aumento della manifestazione di questa angoscia dilagante, fatta di “disagio senza sintomi”, di malesseri e disagi molto forti ma generalizzati, senza sintomi circoscrivibili.

La clinica della modernità era già caratterizzata quindi da uno “star male” diverso non definito, ma molto più preoccupante e difficilmente curabile in quanto apparentemente “vuoto”. Questo vuoto, che altro non è che l’angoscia stessa, in molti ragazzi già si stava manifestando in tentati suicidi, isolamento e autolesionismo che sono, in ordine: dire di no all’angoscia e al legame sociale e quindi alla vita, dire di no al legame sociale reale con i limiti che esso comporta, ed infine il tentativo di sentire qualcosa che non sia “vuoto” e di dare forma al proprio dolore

Considerando questa situazione di partenza la pandemia e l’isolamento sociale ha accentuato queste problematiche sociali, togliendo appunto anche quegli strumenti che aiutano da un lato a limitare l’angoscia, dall’altro a definire la propria identità, che a sua volta altro non è che un contenitore dell’angoscia.

In questi due anni chi ha attraversato tale fase di sviluppo lo ha fatto chiuso in casa a causa delle restrizioni per la situazione pandemica.  L’unico canale di comunicazione con gli altri è stato quello telematico, dei social. È venuta a mancare la fisicità, gli sguardi, le identità di gruppo fatte di scambi “reali”, di quegli sguardi e quelle parole pronunciate da voci vere con le quali confrontarsi e costruire le risposte necessarie a decidere quale posizione assumere nel mondo sociale. Insomma, sono mancati quegli strumenti che abbiamo identificato come fondamentali per uno sviluppo soggettivo ed il contenimento del “vuoto”.

pandemia

Possiamo dire che la tecnologia è stata di aiuto? Che sia stata un buon sostituto del reale?

Per gli adulti probabilmente in qualche modo sì. Per i ragazzi, a mio avviso, non è stato e non potrà mai essere sufficiente. Anzi, al contrario ha forse incentivato l’idea che la vita “vera” sia quella virtuale, fatta di immaginario e apparenza.

Riprendendo lo psicoanalista Jacques Lacan, egli ha affermato, semplificando, che un soggetto è un come un nodo borromeo, un “buon intreccio” di tre registri: simbolico (le parole), reale (il corpo) e immaginario (l’immagine, le idee). Un buon sviluppo ha a che fare infatti con il reale del corpo con i suoi limiti, con l’intreccio di parole che ognuno può usare per simbolizzare questi limiti e con l’immaginario che consente di mantenere l’illusione di “essere questo o quello” e quindi “integro”, tramite un’immagine di sé (immagine corporea e identità).

social network

Sembra, in quest’epoca digitale e ancor più in seguito a questo lockdown aver preso il sopravvento l’immaginario. Il soggetto però, ognuno di noi, non è fatto solo di immagini da “pompare” tramite likes, è fatto piuttosto un po’ anche di questo, ma tanto anche, come ci insegna la psicoanalisi, di contatto, di corpo che incontra altri corpi e di parole che vengono scambiate, voce contro voce, guardandosi occhi negli occhi.

Il rischio di lasciar scorrere e di promuovere sempre più una società dell’apparire e del virtuale, come stiamo già vedendo è di lasciare i ragazzi sempre più in balia del vuoto che sta sotto l’immagine, cioè la propria soggettività che, senza strumenti simbolici e senza limiti non può prendere forma.

E allora potrei dire in senso politico, ma anche ai ragazzi, “Fuori la voce!” (giù i tablet!)

Articolo scritto da Elisa Cestari

Potrebbe interessarti anche...

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da parte di questo sito web.