Violenza sulle donne: abbiate il coraggio di denunciare!

di Alessia Da Canal

Una denuncia “soft” in molti casi risolve il problema prima che diventi più grave. I consigli di Giuseppe Maria Iorio, comandante della Divisione Anticrimine della Questura di Padova.

Potrebbe sembrare il contrario ricordando la cronaca, ma in realtà in quest’arco di tempo così particolare legato alla pandemia da Covid 19, non si è registrato un aumento delle violenze domestiche.

Ad affermarlo, dati alla mano, è Giuseppe Maria Iorio, dirigente della Criminalpol padovana.

“Durante il periodo del lockdown la situazione si è fermata completamente – afferma Iorio. È riesplosa leggermente nei mesi successivi per effetto della riapertura. Ma se noi verifichiamo i dati nell’ultimo triennio, nel 2019 si è registrato un picco dei casi, mentre nel 2020 c’è stata una riduzione sensibile.

L’unico reato spia che ci indica violenza di genere che non è sceso ma è aumentato è proprio quello degli omicidi”.

Questi dati sarebbero legati all’introduzione del “codice rosso”, la legge del luglio 2019 che ha modificato la normativa precedente prevedendo un aumento delle pene per i reati commessi nei confronti di donne, bambini e persone vulnerabili.

In più ha introdotto una serie di reati aggiuntivi quali l’induzione al matrimonio, il revenge porn (la diffusione di immagini e video a sfondo sessuale per assoggettare la vittima) e la deturpazione del viso. E al codice rosso è riservata una particolare procedura penale.

“Adesso quando si fa una denuncia o segnalazione all’autorità giudiziaria e alle forze di polizia – prosegue Iorio – c’è una via privilegiata. Immediatamente viene avvisato il PM che entro tre giorni deve avviare le indagini.

Questa procedura era già prevista nel nostro ordinamento ma solo per i reati di mafia, terrorismo e omicidio. Questo fa capire quanto sia elevata l’attenzione nei confronti di questi reati considerati gravi alla pari del terrorismo e degli omicidi”.

Quando si verifica l’omicidio significa che non ci si è mossi in tempo?

“Solo recentemente sono aumentate le segnalazioni, c’è maggiore consapevolezza degli strumenti che possono essere utilizzati dalla vittima. Quando si arriva a situazioni di particolare gravità, queste sono legate ad una condizione pregressa che durava da anni, tenuta nascosta per molteplici motivi, come la paura del futuro, motivi economici e la volontà di non danneggiare il contesto famigliare”.

Quando è il momento di denunciare?

“Dal 2009 in poi la la normativa prevede un doppio canale: una denuncia formale alle forze di polizia e un altro canale di tipo amministrativo con il quale la vittima chiede al questore l’emanazione di un provvedimento, un ammonimento per reati persecutori o per reati in famiglia.

La procedura è più veloce. L’autorità di pubblica sicurezza verifica quanto richiesto e in brevissimo tempo ammonisce la persona maltrattante a cessare questo comportamento. Qualora ci fosse violazione di questo ammonimento è previsto l’arresto e le pene sono molto più alte.

Quando non c’è urgenza avvisiamo anche la parte maltrattante, ma quando riteniamo che sia necessario adottiamo immediatamente l’ammonizione. Il mio consiglio perciò è di segnalare immediatamente. Ha un vantaggio particolare: permette all’autorità di valutare il fatto insieme alla vittima.

Si può cercare di capire quale sia la situazione reale e il percorso da adottare. Se si tratta di un episodio singolo è un conto, se sono ripetuti è un altro. Siamo qui anche per consigliare, per arginare episodi violenti, ripetuti”.

E se questo poi mi uccide? Molte donne hanno paura di denunciare…

“Dobbiamo valutare un dato statistico: il segnalare subito e richiedere un procedimento amministrativo nel 90% dei casi ha consentito di interrompere immediatamente questa situazione di pericolo o questi atti persecutori o di minaccia e di violenza.

Cessando queste, di conseguenza si riduce anche la paura. Che è sicuramente giustificata, però ci sono gli strumenti per proteggere le donne, come il sostegno legale gratuito.

L’autorità giudiziaria può emettere un provvedimento cautelare per tutelare la vittima, come l’allontanamento dalla casa famigliare, il divieto di avvicinamento, l’obbligo di residenza in altro luogo, anche l’applicazione del braccialetto elettronico.

Tutti provvedimenti che creano una rete di protezione nei confronti della vittima. Funzionano: la persona maltrattante si allontana”.

“In estrema sintesi – raccomanda il dirigente della Criminalpol padovana – non abbiate paura di raccontare quello che vi sta succedendo perché gli strumenti per tutelare sono sufficienti, tanti e variegati e possono permettere di affrontare le diverse tipologie di atti e situazioni.

La vittima è al centro dell’attenzione, poi ci sono i centri antiviolenza e i centri di cura delle persone maltrattanti con cui collaboriamo e insieme affrontiamo la situazione”.

Violenza che ha mille sfaccettature, non è soltanto lo schiaffo. C’è la violenza verbale, la sudditanza psicologica…

“Anche di tipo economico, perché la donna spesso non intraprende una strada perché ha paura di non avere una fonte di sostentamento, ha paura di avere delle spese da sostenere. Comprendo la paura, ma la vittima deve capire che c’è un sistema che protegge e porta insieme alla soluzione”.

Nel caso non sia la vittima ad avere il coraggio di denunciare può farlo qualcun altro?

“In questo caso la normativa prevede che la segnalazione possa farla chiunque sia in contatto con la vittima, un famigliare, un conoscente, un amico. Protetti dall’anonimato. Non andiamo a comunicare al maltrattante il nominativo di chi ha fatto la segnalazione”.

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