Volevo essere una farfalla di Michela Marzano

di Redazione
Volevo essere una farfalla - Recensione di Pamela Ferlin

Volo perché so usare le mie ali,
non perché annullo il mio peso corporeo

L’anoressia non è una malattia ma un sintomo. Non si guarisce, si capisce. Non c’è una formula per uscirne o un percorso certo attraverso il quale vi si arrivi. Molti tratti sono comuni tra chi ne soffre, Michela Marzano, professoressa di Filosofia Morale e Politica all’università di Parigi, ce li racconta con generosa sincerità attraverso la condivisione del suo percorso personale.

Nel suo “Volevo essere una Farfalla” (Mondadori), ci parla del bisogno di trovare la volontà per riconoscersi e scavarsi dentro, di comprendere sé stessi e la concatenazione delle emozioni che ci erodono e ci contaminano.

È quando pensiamo troppo spesso al cibo, quando ci sentiamo in colpa se mangiamo “troppo”, quando il nostro peso condiziona il nostro modo di vivere che vorremmo “essere una farfalla”.

Questo libro rappresenta innanzitutto un’occasione per non sentirsi soli e sole, per scoprire che altri hanno provato le stesse cose che ci turbano e che ci addolorano, delle quali a volte ci vergogniamo, perché per trovare la propria voce può essere utile ascoltare la voce di chi ha trovato “le parole per dirlo”. E per imparare a volare dobbiamo imparare a riconoscere e usare le nostre ali di farfalla.

Attraverso le parole di Marzano, sempre delicate ma mai deboli, leggiamo le sensazioni di molte e molti di noi, come direbbe lei con quell’attenzione all’inclusività che si esprime nelle parole come nei gesti. Parole, quelle contenute in questo libro, per dare voce a chi fatica a trovarla.

Grazie alla sua esperienza, l’autrice ci porta a comprendere noi stessi e l’animo di chi amiamo e vorremmo aiutare. Consapevoli che per comprendere a pieno una realtà è necessario conoscerla attraverso diversi punti di vista, in “Volevo essere una farfalla” cogliamo, grazie a tanti infiniti e sfumati batter d’ali, un concerto armonico fatto anche di silenzi oltre che di molte parole e citazioni illuminanti e pertinenti.

L’intelligenza dell’autrice conduce la nostra mente, con gli strumenti della razionalità, a cogliere il sentimento imprescindibile che dovrebbe definire l’umano: la carità. Senza questa disposizione d’animo, sembra dirci, non potremmo comprendere l’altro e ancor meno noi stessi. E in questo viatico di comprensione, ricordare che “Ѐ nel corpo e per suo tramite che ci si iscrive nel mondo e si incontrano gli altri” può rappresentare una svolta.

La paura di non deludere nessuno, i genitori, la società o forse in primis noi stessi, non sentirsi mai all’altezza delle aspettative, può diventare una trappola mortale. Ma non dovremmo perdere mai di vista – per usare un’altra delle sue metafore – che accanto ad un abisso c’è sempre un ponte.

Se è vero che tutti abbiamo bisogno di qualcuno da amare e da cui essere amati, perché nessuno si salva da solo, è altrettanto vero che, sprofondando nelle penombre del nostro essere, possiamo giungere alla consapevolezza che non è esclusivamente il giudizio degli altri a determinare il nostro valore.

Non abbiate paura delle apparenti contraddizioni che scoprite in voi stessi, sembra dirci l’autrice, perché il pensiero è davvero affascinante solo quando è duttile e controverso, quando si inceppa. E il pensiero scaturisce dagli affetti per loro stessa natura multiformi. Il mondo non è binario, ma luci e ombre convivono e elaborano infinite sfumature, come infiniti battiti d’ali. A come anoressia. A come amore.

Recensione a cura di Pamela Ferlin
Direttrice Ergo Sum Agency

www.ergosum-agency.com

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