Un mondo senza carcere: per No Prison è possibile

di Francesca Campanini

Livio Ferrari, co-fondatore del Movimento No Prison, è tra le persone che credono nella possibilità di smantellare il sistema carcerario e spiega i suoi motivi nel suo ultimo libro “Perché abolire il carcere? Le ragioni di No Prison”

Pensare a un mondo senza carcere sembra assurdo? C’è chi invece crede che non solo sia possibile, ma anche che sia anche un dovere realizzarlo.

L’idea di fondo è che il carcere sia un luogo che produce sofferenza, marginalizzazione, disagio, che sia quindi dannoso sia per i condannati che per la collettività. Infatti le condizioni di degradazione a cui i detenuti sono sottoposti non fanno altro che incitarli nuovamente a commettere reati, il tasso di recidiva ne è la prova, spiega Livio Ferrari: “Ѐ dimostrato dai dati che ci vengono forniti dall’amministrazione penitenziaria e dal Ministero della Giustizia che oltre il 75% di chi sconta la pena in carcere poi torna a delinquere. Al contrario tra chi la sconta fuori si arriva solo al 20%”. In gergo tecnico il carcere viene quindi definito come “fattore criminogeno”.

Ma chi sono i criminali che releghiamo in cella pensando che ciò sia imprescindibile per la nostra sicurezza pubblica?

“Su cento persone – risponde Ferrari – solamente una ventina sono soggetti che hanno un tasso di pericolosità che richiede la privazione di libertà, gli altri sono persone che vengono incarcerate non tanto per questioni legate alla giustizia, ma per difficili questioni socio-economiche. 

Il nostro governo e la nostra nazione non risolvono problemi sociali e demandano al carcere la loro gestione.

Perché dico questo? Perché in prigione abbiamo una fetta molto grossa, attorno al 38%, di stranieri, che ci sono finiti solo perché non hanno il permesso di soggiorno, solo perché non hanno un pezzo di carta!

Abbiamo un’altra fetta fatta di persone legate alla tossicodipendenza, i loro problemi legati alle sostanze sono patologie e queste non si curano di certo in carcere.

Un’ultima fetta di persone che non dovrebbero essere detenute sono quelle che vengono da percorsi di psichiatria, che hanno perso i legami sociali, che non hanno dove andare, mentre se avessero dei luoghi dedicati nel territorio, queste persone potrebbero essere recuperate”.

Livio Ferrari prosegue spiegando che il carcere è un luogo pensato e nato per escludere le persone povere e paradossalmente per lucrare sulla loro condizione: “Se non hai delle risorse economiche importanti, tu in carcere ci finisci per qualsiasi cosa.

Le leggi che ti dovrebbero tutelare, il gratuito patrocinio e altro, non sono efficaci nei fatti. Perciò la nostra giustizia che non è tale, non è equa: c’è una giustizia per i ricchi e una giustizia per i poveri.

Il carcere è sempre stato costruito per i poveri: nasce intorno al 1500-1600 per i poveri, per toglierseli dalla vista, metterli là e scordarseli. Poi un’altra cosa drammatica che succede nel nostro paese riguarda il business che si struttura attorno a questo luogo: ogni governo che arriva propone un progetto per costruire nuove carceri, con i progetti proposti negli ultimi trent’anni ci troviamo con 45 istituti costruiti e mai aperti, alcuni mai finiti, uno è stato inaugurato tre volte… Il tutto mentre ci sono carceri in funzione che stanno cadendo a pezzi.

Abbiamo un budget annuale di 3 miliardi di euro che lo Stato spende per questo mondo, sapete a cosa servono? Al 90% per pagare il personale, perché abbiamo un numero esagerato, intorno a 49mila soggetti solo di polizia penitenziaria, di persone che lavorano dentro il carcere.

Tutta questa situazione evidenzia che è un luogo costruito per i poveri, sui quali si fa business.

Sempre in merito alla spesa delle risorse nel mondo carcerario, Ferrari specifica: “L’articolo 27 parla di rieducazione, considerando il 10% dei fondi rimanenti, si calcola che la somma spesa per la rieducazione è pari a venti centesimi all’anno per detenuto, voi capite che allora non ci dobbiamo prendere in giro: stiamo facendo delle cose vergognose”.

Ma perché è importante parlare di carcere? Cosa risponderebbe alle persone se le dicessero che ci sono ben altri problemi nella nostra società da affrontare?

Quello che pensa la gente del carcere, cioè che reato è uguale a condanna e condanna è uguale a carcere, è un’equazione che noi vogliamo sfatare. Perché? Perché la questione è più semplice di quello che si possa credere: che senso ha togliere la libertà a una persona se non è pericolosa? Non ha nessun senso, anzi è negativo.

Ogni essere umano dovrebbe prendersi la responsabilità di ciò che fa, nel bene e nel male, ma nel momento in cui uno non ha più la libertà, è in carcere, può assolutamente disinteressarsi del male che ha commesso.

La restituzione nei confronti della parte offesa è un fattore importante di pace sociale, allo stesso tempo significa anche restituire a sé stessi la dignità ‘persa’ nel momento che si è fatto quel salto tra la legalità e l’illegalità”.

In conclusione, dice Livio Ferrari: “La negatività di questi luoghi è straordinaria, tutti ne parlano in maniera negativa: magistrati, avvocati e operatori la sottolineano, ma non c’è la voglia di cambiarlo davvero.

Alla fine salta sempre fuori lo stesso discorso: ‘Ma si può mettere la pezza qua, si può mettere la pezza là’. Io vedo che nella vita normale le persone a casa propria quando una cosa non funziona la sostituiscono con una che funziona.

Sembra impossibile ma nel carcere non ci si riesce, è l’ultimo avamposto manicomiale che non si riesce a scalfire, le cui mura non si riescono a buttare giù. Noi invece vogliamo provarci”.

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