Dru e l’educazione sentimentale

di Redazione
Drusilla Foer (ph. Serena Gallorini) | Fuori la Voce

Intervista a Drusilla Foer, cantante, attrice e autrice, è da tempo un'icona di stile. Frequenta con successo televisione e cinema ed è una star di culto anche sul web, con oltre 400.000 follower attivi fra Instagram e Facebook

Nella sua carriera ha spaziato in vari ambiti. Posa per fotografi, stilisti e artisti di prestigio internazionale: Mustafa Sabbagh, David LaChapelle e Cindy Sherman.

Ha posato per lo stilista e designer Alessandro Gaggio, indossando i gioielli che nel 2016 sono stati esposti al Museo Bellini di Firenze, e nel 2018 è stata testimonial per lo stilista Daniele Ancarani.

Dru – come amichevolmente viene chiamata da amici e fan – possiede il carisma e il fascino del personaggio e insieme lo splendore e lo spessore della bella persona.

Giovedì 23 settembre 2021 ha debuttato in prima nazionale a Vicenza con l’Histoire du Soldat, versione e regia di Giancarlo Marinelli con musiche di Igor Stravinskij dell’orchestra del Teatro Olimpico diretta da Beatrice Venezi.

Drusilla, al leggio, era la voce narrante dei danzatori in scena: Giulia Barbone, Antonio Balsamo e Andrè De La Roche.  Una voce che cambiava timbro e genere, riempendo il maestoso teatro patrimonio dell’umanità. Dalla fine di novembre Drusilla Foer inizierà un tour teatrale di oltre quaranta date. E a dicembre tornerà nuovamente in scena a Vicenza ma stavolta con il suo recital ELEGANZISSIMA.

Drusilla, quella che abbiamo applaudito sul palco dell’Olimpico è una madame diversa da quella che siamo abituati a vedere. È stato difficile dare la voce ai tre personaggi?

Difficile no, perché ho sempre fatto le “vocine”: da piccolina avevo un teatro di marionette e spesso giocavo anche da sola.

Per motivi strutturali ho una gamma di colori vocali, chiari e scuri, che mi hanno consentito di fare il diavolo, la principessa e il soldato. Quest’ultimo certamente mi è rimasto nel cuore per la purezza che si trasforma in rabbia, in vigore di liberarsi dal demonio, e poi anche di ricaderci. L’Histoire du Soldat è una bellissima favola moderna che nella sua contemporaneità narrativa è stata ottimamente supportata dalla scrittura musicale di Stravinskij.

Drusilla ha fatto e fa Teatro, Televisione, Cinema e Radio. Quale ama di più?

Il teatro è sicuramente il luogo a me più congeniale, insieme alla musica, perché mi piace cantare come a un goloso piace la Nutella. Il teatro, per quanto mi riguarda, come talento a disposizione richiede più impegno della musica: narrare e ricordare è un impegnativo lavoro di partecipazione e concentrazione.

Il teatro è senza dubbio la macchina artistica che più funziona e della quale mi piace l’aspetto corale e partecipativo. All’Olimpico ho riscoperto il piacere di lavorare con tante persone e talenti diversi: il talento maturo di Andrè La Roche e la freschezza dei ballerini, oltre all’orchestra luminosa diretta da Beatrice Venezi. Per il mio ego incontenibile, raramente vengo diretta, ma quella con Giancarlo Marinelli è stata una edificante esperienza.

Anche il cinema mi piace, ma purtroppo in Italia c’è questo modo di fare cinema, dove l’attore perde la visione d’insieme. La televisione ha tempi concitati e c’è la buona televisione e la pessima televisione. Dunque se dovessi scegliere resterei con Shakespeare o Pirandello.

Lei sostiene diverse cause sociali. Quanto c’è da fare ancora per la tutela delle donne?

C’è moltissimo da fare. Si è fatto qualcosa dal punto di vista legislativo, ma c’è da fare tutto il lavoro sull’uomo, sulla coscienza dell’individuo.

Lo Stato può garantire dei recinti comportamentali in cui muoversi, può essere vicino alle donne che subiscono violenze e ingiustizie, come il machismo in ambito lavorativo, l’assenza di meritocrazia.

Ma il lavoro grosso da fare è sul soggetto umano, sull’educazione sentimentale per citare Flaubert, ma soprattutto sul piano civile, in questo caso dell’uomo.

Ma in qualche caso anche delle donne.

Il suo libro per Mondadori si intitola “Tu non conosci la vergogna”. La vergogna è un sentimento noto, onnipresente, sacrosanta per tutti. Come ci si dovrebbe rapportare con la vergogna?

Trovo la vergogna né sacra né santa. È un sentimento comune, che andrebbe debellato come il pregiudizio, l’aridità. Ci sono luoghi più costruttivi della vergogna dove stivare le cose di noi che non ci convincono. Il pudore è meno ostile e più carino, per esempio. La vergogna è pietrificante: un pantano dove più ci si muove e più si va a fondo.

È un grosso contenitore con il quale non si vuole avere relazione. Il pudore invece – o il segreto – sono più gentili e hanno a che fare con mondi che sono nostri, interni, mentre il problema della vergogna è relazionale: è la paura a dimostrare agli altri quello che siamo. Personalmente ho delle cose di cui vergognarmi ma ho cercato, almeno quelle più pungenti, di farmele amiche.

Se si convive con qualcosa di noi stessi che ci addolora, già non è più vergogna. Non è più distante, non è da demonizzare o buttare. Siamo noi, nel nostro unicum.

 

Articolo di Germana Cabrelle

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