Camilla e l’eccessivo controllo trasformato in anoressia nervosa

di Hellen Magagna

La storia di Camilla con i disturbi dell’alimentazione: non è solo questione di peso e di corpo.

Camilla. 26 anni. Da sette vive a Milano e lavora come giornalista. Ha deciso di raccontarsi e di raccontarci la sua storia, di guardare il suo passato, di scavare in dei ricordi che magari a volte è meglio dimenticare. Ha deciso di dare voce alla sua esperienza con i disturbi dell’alimentazione, in particolare con l’anoressia nervosa

 

Quando tutto è iniziato

Era molto piccola, aveva 14 anni quando è cominciato tutto. Un disagio che non è nato dalla volontà di essere più bella, più magra come magari in molti facilmente pensano. Camilla faceva danza artistica a livello agonistico e provava un forte senso di responsabilità nell’ottenere ottimi risultati. Ma non solo, un forte senso di responsabilità verso tutto quello che concerneva risultati scolastici, i rapporti familiari che erano tesi e difficili. 

C’è sicuramente un disagio sottostante nelle persone che soffrono di disturbi alimentari, che può anche non riguardare in alcun modo il corpo, come nel caso di Camilla, che era sicuramente un eccessivo e morboso bisogno di controllo, una situazione familiare complicata e il senso di responsabilità nel dover mantenere i mattoncini vicini.

 

Camilla e l'anoressia nervosa

E’ stato proprio per questo bisogno di controllo che ho iniziato a monitorare tutto quello che facevo dal punto di vista alimentare fino poi a cadere in un eccesso, che è stato deleterio e si è concluso con una diagnosi di anoressia nervosa.

I suoi genitori sono stati fin da subito attenti e capaci di intendere in maniera immediata i primi comportamenti sospetti e il disagio e ci racconta: “Questi comportamenti iniziali erano quelli che potrebbero sembrare una dieta un po’ troppo rigida: togliere l’olio con il cucchiaio se stavo mangiando magari un minestrone, evitare completamente i carboidrati, il rifiuto di pasta, pane e qualsiasi cosa che contenesse zuccheri, qualsiasi tipo di dolce”.

Il pranzo: un eterna bugia

Tra la fine del 2010 e metà anno del 2011 Camilla aveva perso la metà del suo peso corporeo e a quel punto le giornate non erano più “che cosa mangi” ma “era tutto quello che non puoi mangiare”. Camilla era arrivata a concedersi un frutto a colazione, della verdura per cena e il pranzo era un’eterna bugia.

 “Successivamente ai due ricoveri, uno ospedaliero e uno invece specializzato, l’alimentazione è tornata ad essere diciamo più completa però comunque era molto schematica. Quindi non mi sentirei di poter dire che era un’alimentazione serena o bilanciata anche perché quando c’è sempre questo controllo spasmodico delle porzioni, delle quantità e delle calorie non si può dire che sia un’alimentazione bilanciata; magari mangi anche in modo bilanciato però non sei bilanciata tu, non stai bene tu”.

Camilla e l'anoressia nervosa
Camilla e l'anoressia nervosa

Non mangiare per Camilla era diventato l’unico modo per non combattere con la sua testa, con i sensi di colpa e con la paura di avere perso il controllo. In quei momenti per Camilla “doveva essere così”. Non aveva una scelta. Non se la sentiva. Ma, come ci spiega lei, era uno strumento di difesa della sua salute mentale, che in realtà era già malata e compromessa.

I due ricoveri

Il capitolo più complesso, ma non determinante per Camilla sono stati i ricoveri. Visto i preoccupanti esami del sangue e il peso corporeo, Camilla è stata inizialmente ricoverata all’Ospedale di Padova. È stato un ricovero “salvavita”. Un ricovero molto pesante ci spiega “c’erano solo due letti in stanze triple, quadruple con pazienti che ricorrono alla lungodegenza e quindi tante persone anziane, molto sofferenti che creavano un clima difficile per una ragazzina di 14 anni, che si trova lì con un sondino nel naso gastrico, che è dolorosissimo e fastidioso. Ma soprattutto è un’imposizione perché ti forza a fare quello che tu fino a quel momento non hai mai fatto senza”.

Subito dopo il ricovero ospedaliero, Camilla è stata inviata a Villa Garda e si è trovata ad affrontare cose che non avrebbe mai immaginato. Ogni individuo, ogni persona nonostante soffre della stessa malattia e dello stesso disturbo alimentare può avere manifestazioni e comportamenti diversi. E Camilla, in quella struttura, si è ritrovata ad affrontare una serie di comportamenti che paradossalmente la affliggevano con più prepotenza. Il ricovero è durato circa sei mesi, però ha aiutato Camilla solo dal punto di vista di un ristabilimento fisico, molto meno per quel che riguarda invece lo stato di salute mentale. “Non ho sentito gli strumenti diciamo giusti per me. Questo perché, ad esempio, soprattutto dal punto di vista dell’alimentazione mi è parso di uscire da una gabbia per entrare in una un pochino più grande, quindi comunque un controllo dal punto di vista delle proporzioni, delle quantità, del tipo anche di alimentazione che si dovrebbe avere”. 

L'approccio terapeutico

I primi approcci terapeutici non sono stati di grande aiuto per lei, perché “nonostante queste menti eccelse che si sono messe in gioco, io probabilmente ero troppo immersa in quella che gli specialisti chiamano ‘luna di miele’ della malattia, ossia un periodo in cui essendo probabilmente stato preso così presto il disturbo, era ai suoi esordi, io in quel momento non ero pronta a mettermi in discussione… non ero disposta a condividere così tanto, cioè mi sentivo forzata di dover dire ‘mi apro’ davanti a voi e non sentivo di farlo”. 

Perché come sottolinea Camilla senza la testa non serve a niente avere un corpo nel range del normopeso, se poi non riesci ad affrontare la vita con elasticità e serenità. 

Camilla ad oggi, infatti, non ha tolto il controllo dalla sua vita, ma ha imparato a gestirlo in chiave positiva; e quindi paradossalmente si è trasformato in uno strumento a suo favore, che non inficia invece più nella sua vita personale.

Camilla e l'anoressia nervosa

L’esperienza terapeutica più proficua per Camilla è stata quella successiva ai due ricoveri, con uno psichiatra specializzato in disturbi dell’alimentazione e non solo. In quel momento la sua situazione fisica si era stabilizzata, ma era molto vincolata ancora alle paure e a quelle gabbie che la intrappolavano

Penso di conoscerlo da quasi dieci anni e in questi anni di terapia abbiamo parlato davvero raramente di quello che potesse essere il mio peso o di come affrontare l’alimentazione. Quello di cui parlavamo era quello di cui io volevo parlare. Lui mi ha sempre ‘dato del lei’, c’è stato un rapporto estremamente professionale e distaccato, ma forse anche proprio questa non invasività che lui aveva mi ha aiutata ad aprirmi… perché sentivo di poter dire io quello che avevo bisogno di dire, quello che mi sentivo e piano piano anche quello che era più difficile da dire riuscivo a tirarlo fuori… mi aiutava a non provare imbarazzo, non provare vergogna e non avere quella paura del giudizio, che invece in tante altre situazioni terapeutiche avevo avuto.

Quando qualcosa è cambiato

Camilla soffre d’asma allergica e nel 2014 è stata ricoverata per più di venti giorni in Ospedale a Padova per un brutto attacco. Nel periodo precedente, Camilla si era impegnata con molta determinazione a raggiungere il normopeso e una volta dimessa da quel letto d’ospedale si è sentita sconfitta, perché ha visto svanire tutto il lavoro che aveva fatto

Mi sono vista per la prima volta ed è stato davvero uno degli shock più grandi che ricordo… molto più delle prime volte che i miei mi abbracciavano e mi dicevano ‘ma sei tutta ossa’, ‘non ti si può toccare’. Finché me lo dicevano gli altri non mi rendevo conto, quando poi dopo quasi un mese in cui non mi sono specchiata e mi sono vista la pelle grigia, le labbra viola, i capelli brutti secchi pochi, le ossa brutte, le gambe senza un muscolo, senza tono e non avevo nemmeno vent’anni e mi sono detta… sembro un topo. E li qualcosa è scattato, li qualcosa è cambiato. 

La guarigione dal disturbo alimentare

Una volta ristabilita, Camilla ha messo in chiaro ai suoi genitori che era disposta a prendere davvero in mano il suo processo di guarigione però doveva farlo in un altro ambiente. E quello è stato il suo primo banco di prova e questo catapultarsi nella vita adulta, secondo Camilla è stato molto utile. 

La guarigione dal disturbo alimentare di Camilla non si è consumata a Padova e ci racconta “nel 2015 sono venuta a Milano per studiare all’università e questo percorso è culminato nel momento in cui ho conosciuto il mio attuale fidanzato, e sono entrata a far parte della sua vita anche familiare, i pranzi della domenica e tutte quelle altre situazioni di aggregazioni che prima erano un incubo per me, anzi le evitavo, declinavo inviti quotidianamente non solo per il cibo ma per il giudizio degli altri. Perché non era il bignè, il piatto di pasta a determinare ansia; nel mio caso era proprio il confronto con gli altri. Piano piano da quando sto con Jacopo le cose hanno iniziato a infilarsi in un modo positivo, sicuramente mi sono resa conto che anche senza controllo sull’alimentazione non cambiava niente nella mia vita. Non ero più o meno brava sul lavoro, non ero più o meno una brava fidanzata, non ero più o meno una brava figlia… niente dipendeva a quello che mangiavo, né da quello che pesavo, né da quello che vestivo. Questo mi ha sicuramente aiutata tanto. Tanto che adesso la bilancia in casa mia esiste solamente per fare le dosi dei dolci”.

Camilla e l'anoressia nervosa
Camilla e l'anoressia nervosa

Cos'è ad oggi l'anoressia per Camilla?

Sono ormai tre anni che Camilla può dire di essere sicuramente più lei e di essere davvero serena. E con mente più lucida ci ha spiegato cos’è ad oggi per lei l’anoressia e cos’è stata per lei questa esperienza.

Penso che l’anoressia mi abbia privata di tutta l’adolescenza e quindi sicuramente questa malattia mi ha privato di tantissime cose, ha privato di tantissime cose anche la mia famiglia e ho privato anche mia sorella di una parte d’infanzia, così come io ho perso l’adolescenza. 

Camilla e l'anoressia nervosa

Quindi non direi che l’anoressia è una perdita di tempo, è una grandissima perdita di vita. Lascia degli strascichi importanti sia dal punto di vista fisico, che psicologico non solo in me ma anche nelle persone che mi sono state accanto. E questa forma di controllo e rigidità è rimasta più ai miei genitori che a me e quindi per questo ti dico è proprio una perdita di vita e momenti importanti, di sicurezza perché ti insegna che siamo tanto vulnerabili. Io non sono mai stata la ventenne che pensava di spaccare il mondo. È una malattia sottovalutata, non troppo conosciuta, fraintesa. Non è facile far capire alle persone nemmeno a chi ti sta tanto vicino. Ci vuole il giusto spirito da parte di chi ascolta e coraggio da parte di chi si espone.

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