Rieducazione carceraria: basta all’isolamento delle eccellenze e agli ostacoli da parte del sistema

di Redazione

Padova è un modello di reinserimento. Ma il sistema carcerario nel complesso è una vittoria o una sconfitta? La risposta potrebbe essere meno scontata di quanto sembri. A parlarcene due pilastri della cooperazione: Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto, e Ornella Favero, coordinatrice di Ristretti Orizzonti

Ѐ Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto, a dirci che no, non è una vittoria.

Non dobbiamo più “accontentarci” di esempi di eccellenza che sopravvivono, isolati in un sistema che li ostacola. Al contrario, sottolinea Boscoletto: “La sfida è stata vinta, però come è stata vinta… Oggi noi abbiamo un po’ di amaro in bocca, perché spesso si parla di “modello Padova”, “modello Bollate”… Ma quando tu scopri una cosa buona cosa fai? La nascondi? O la divulghi, la estendi? Quando scopri una cosa che può essere utile per tutti dovresti fare il modo che effettivamente sia per tutti. Rimanere un modello diventa una negatività – e continua – A noi non fa più piacere che ci dicano che siamo bravi, anzi addirittura quasi quasi fa dispiacere… A volte dici ‘Hai scoperto l’acqua calda’ no? Cioè a volte l’innovazione è vivere la normalità. Spesso quando ci visitano in carcere dicono ‘Ma che cosa eccezionale!’, noi diciamo ‘No, guardate che noi non facciamo niente di eccezionale’. Non essendoci la normalità quando si vede una cosa normale sembra eccezionale…”.

La storia della Cooperativa Giotto è legata a doppio filo con quella dell’istituzione penitenziaria padovana e, dal 1990, anche con quella di Nicola Boscoletto, che racconta degli sforzi e traguardi raggiunti in questi trent’anni. 

Dando il via alle attività sia all’interno che all’esterno del carcere si raggiungono nei primi anni 2000 importanti risultati: “Dopo dieci anni di inserimento di un centinaio di detenuti in misura alternativa avevamo visto che per chi finiva la pena, lavorando con un lavoro vero la recidiva scendeva dal 70% – che poi si dice essere 70% ma in realtà ormai saremo anche oltre il 90%, perché un conto è la recidiva ufficiale, un conto è la recidiva reale… Insomma avevamo visto che su quel campione di cento detenuti solo il 15% tornava a delinquere.

Ѐ nel 2004 che inizia il viaggio che ha portato Giotto ad essere un’eccellenza anche culinaria, con l’apertura della pasticceria e con un approccio al lavoro per i detenuti che li portasse a confrontarsi con le sfide e gli stimoli del vero mercato. Spiega Nicola Boscoletto: “Abbiamo voluto confrontarci con il mercato del lavoro vero, quindi portare ad eccellenza le attività lavorative. Fino a quel momento la mentalità era ‘Cosa vuoi fare? Cosa può venire di buono dal carcere, da carcerati che sono persone brutte e cattive?’, noi abbiamo accettato questa sfida e abbiamo detto che no, bisognava scoprirlo e bisognava farlo scoprire alle persone detenute”.

Ad evidenziare quale sia l’elemento caratteristico del modello padovano è Ornella Favero, coordinatrice del giornale della Casa di Reclusione Due Palazzi, Ristretti Orizzonti:

Io credo che Padova sia un esempio importante…

Non è un carcere vetrina, noi lavorando abbiamo costruito delle iniziative innovative proprio per rendere la Costituzione viva dentro al carcere.

Ecco l’innovazione di Padova: in tanti campi e compreso il lavoro è la società esterna che vuole contribuire al cambiamento delle persone.

Perché se tu una persona la rinchiudi e basta non puoi pensare che così impari a vivere in mezzo alla gente” – prosegue dando una testimonianza sulla sua attività in prima persona – Io sono volontaria da ventiquattro anni, sono tantissimi, sì… Qualche volta dico che è volontariato ‘usurante’, nel senso che è molto più complesso di quanto si possa immaginare.

Perché il percorso di cambiamento delle persone non è lineare: noi facciamo i conti tutti i giorni con ricadute e fallimenti. Ecco, a me in realtà non piace il termine ‘fallimento’, perché è nella natura umana purtroppo di sbagliare, ricadere”.

Ornella Favero e Nicola Boscoletto
Ornella Favero e Nicola Boscoletto

Partendo da quello che è stato detto dal premier Draghi e dalla ministra della giustizia Cartabia al carcere di Santa Maria Capua Vetere a metà luglio, dopo che il quotidiano Domani aveva svelato un video degli orrori e delle violenze commesse contro i detenuti – le due cariche dello Stato hanno dichiarato di dover attestare una sconfitta – possiamo sperare di avere una rivincita.

Puoi vedere il video pubblicato da Domani (contenuto forte) qui:
https://www.youtube.com/watch?v=CEIS67aHlqI

Rivincita che però potrà avere successo solo attraverso la collaborazione, l’unione nella differenza. Come sottolinea Boscoletto: “Questo è ciò che oggi manca di più: lo dice il papa, lo dice Mattarella che da soli non si va da nessuna parte, ma se questo rimane solo un discorso… Noi oggi questa difficoltà la viviamo. I segnali dall’alto sembrano arrivare, abbiamo una ministra donna, e da che io mi ricordo in questi trent’anni per me i migliori ministri sono state tutte donne, che ha delle basi solide perché è una costituzionalista.

Stanno facendo delle iniziative importanti. Speriamo che il sistema del carcere e della giustizia, che è forse uno dei più autoreferenziali in assoluto, possa fare un passo, uscire da questa autoreferenzialità e capire che l’altro è un bene, non è un pericolo, non è un concorrente. Uno più uno può fare tre, mentre oggi nell’amministrazione penitenziaria certe persone che vi operano hanno una concezione che uno più uno più uno debba fare uno, cioè “Io”. Questo non costruisce niente”.

 

A cura di Micaela Faggiani e Francesca Campanini

Potrebbe interessarti anche...

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da parte di questo sito web.