Non reati ma persone, da rieducare anche attraverso il lavoro

di Redazione

Il nostro reportage dentro il carcere Due Palazzi di Padova parlando di persone e di rieducazione anche attraverso le attività lavorative

Non sono reati ma persone e anche chi qui dentro deve scontare il “fine pena mai” una prospettiva di rinascita ce l’ha. Soprattutto attraverso il lavoro. È questo che ci siamo portate a casa e in redazione, la sottoscritta e Francesca, dopo essere entrate in quel mondo “a parte”, qual è il carcere Due Palazzi di Padova.

In questo istituto penitenziario a lunga permanenza, per persone che devono scontare pene di regola superiori a cinque anni fino all’ergastolo, i detenuti sono 515. Di questi 267 sono italiani. Molti di loro, grazie a un enorme sforzo economico, di tempo e di organizzazione, lavorano e svolgono attività di vario tipo, da quelle sportive, al volontariato, a vere e proprie occupazioni lavorative attraverso soggetti esterni che collaborano con il carcere.

A raccontarcelo sono sia un paio di detenuti sia molti professionisti che operano per e con i carcerati.  Con un obbligo e una promessa da parte nostra, dettata dall’istituto penitenziario. Quello di non chiedere e di non parlare con i detenuti del reato commesso, per guardare alla persona prima di tutto e alla gestione della pena.

Claudio Mazzeo Direttore del Carcere Due Palazzi di Padova

Claudio Mazzeo Direttore del Carcere Due Palazzi di Padova | Fuori La Voce
Claudio Mazzeo

Secondo la nostra Costituzione, in particolare secondo l’articolo 27, la pena in carcere deve offrire opportunità risocializzanti.

Applicare questa norma è difficile, sia in termini economici, sia in termini di risorse professionali e interventi della comunità esterna al carcere.

Per fortuna la nostra Casa di reclusione è una realtà ben integrata con il territorio grazie alla presenza del terzo settore, all’università, alla scuola e alle istituzioni tutte.

In essere ci sono molti progetti risocializzanti che hanno un obiettivo: quello di creare i presupposti per un futuro lavorativo per queste persone, che permetta il reinserimento e l’inclusione sociale.

Per questo, tra le altre cose, stiamo lavorando per aprire a breve una scuola alberghiera, che può essere utile anche per le cooperative che lavorano all’interno del Due Palazzi ”.

Giuliano Napoli, detenuto e redattore Ristretti Orizzonti

“Sono arrivato nel 2017 a Padova. Dopo pochi mesi ho conosciuto Ristretti Orizzonti come volontario. http://www.ristretti.it/ 

Grazie a questa esperienza con il tempo ho imparato a usare il pc ( prima non lo sapevo fare!), ho imparato un lavoro vero e proprio, che prima non sognavo nemmeno di poter fare. Oggi lavoro al TG Due Palazzi (faccio il montaggio video e le interviste) e alle spedizioni delle riviste (abbiamo circa mille abbonati a cui inviare ogni mese la rivista).

Giuliano Napoli, detenuto e redattore Ristretti Orizzonti | Fuori la Voce
Giuliano Napoli

La vita che conducevo prima era tutt’altro, era basata su altre cose che non erano, diciamo, il lavoro normale.

Qui invece ti insegnano che puoi avere soddisfazioni anche attraverso il lavoro.

E questo mi ha spronato anche ad iscrivermi all’università, altra cosa che non avrei mai immaginato prima.

E tutto questo non l’ho scelto, è  l’ambiente che mi ha spinto in questa direzione. Se non ci fosse stato questo ambiente, se non ci fossero state queste persone che ci sono qui a Padova non ci sarei riuscito da solo. Non è però stato fin da subito così.

Ho iniziato a conoscere e a capire di lavoro da qualche anno, perché in linea generale la mia carcerazione è stata incentrata su atteggiamenti violenti, di opposizione, di contrasto nei confronti delle istituzioni. Poi qui, dopo un lungo periodo di conoscenza che ti porta, come nella redazione, a conoscere tante persone, anche chi la pensa diversamente da te, ho compreso che  lavorando puoi avere le tue gratificazioni. Io stamattina per esempio ho lavorato, dalle 8.30 ho fatto in fretta e furia per fare questa intervista, ho pulito cento chili di patate…

È una cosa bella perché soprattutto con il lavoro riesci ad uscire da una forma di umiliazione nel non poter aiutare la famiglia, non poter soddisfare i tuoi bisogni… Perché anche un detenuto ha dei bisogni primari. Lavorando riesci a vivere meglio, anche se il contesto non è dei migliori”.

Faccio fatica a pensare al futuro, anche perché un fine pena mai ti pone dei limiti sul tuo futuro. Vivi sempre con l’incertezza: esco o non esco, ce la faccio o non ce la faccio… Io provo ad immaginarmi laureato, con un lavoro, magari con dei limiti, perché anche la pena alternativa comporta delle limitazioni… Però vorrei fare un percorso, sicuramente finire l’università, poi da lì cercare di capire anche cosa fare nel futuro”.

Giuliano si è reso disponibile anche a fare incontri con le scuole, ora necessariamente online: “Gli incontri con le scuole sono stati uno dei motivi per cui ho iniziato a fare volontariato qui a Ristretti Orizzonti. Agli studenti io personalmente racconto il mio percorso verso l’autodistruzione, partendo proprio dai banchi di scuola. Parliamo di come può essere un campanello d’allarme un atteggiamento violento, aggressivo, che poi ti porta ad aumentare sempre la linea d’arrivo e  il rischio. È questo che a me ha portato sulla strada della delinquenza, della criminalità e poi… Ovvio che una condanna all’ergastolo prevede che tu abbia fatto qualcosa di molto grave…

Di solito con le scuole raccontiamo il percorso che abbiamo fatto all’interno del carcere, cerchiamo in qualche modo di metterli in guardia. Questo progetto con le scuole ci ha aiutato anche a esportarlo da Padova ai nostri territori d’origine.

Per esempio io sono calabrese e abbiamo esportato questo progetto in Calabria, dove penso sia anche più utile, perché magari la mentalità è un po’ più simile alla mia… Al Sud tanti giovani abbandonano la scuola. Questo è un problema che noi cerchiamo di contribuire a risolvere, nel nostro piccolo, spingendo i ragazzi verso la cultura e verso la conoscenza.

Se io a mio tempo avessi avuto la possibilità di ascoltare alcuni ergastolani, che sono in carcere da dieci o quindici anni, a 14-15-16 anni magari avrei ricevuto la parola giusta al momento giusto dalla persona giusta. Perché le persone contano, contano le loro parole, perché ognuno ha la propria storia alle spalle.

Io non sapevo quello che mi aspettava. Non pensavo allora, nel momento del reato, che quel reato, che al momento mi aveva portato un guadagno, prima o poi lo avrei pagato e non l’avrei pagato solo io, ma anche la mia famiglia.

Loro penano anche per questo, penano per venire a fare i colloqui, penano per mantenerti quando non lavori… Io i primi dieci anni di carcere li ho fatti senza lavorare, quindi sulle spalle dei miei familiari. A questo non ci pensi prima, ci pensi soltanto dopo. E dopo rientrano in gioco tutti quei sentimenti che prima non consideravi, come l’amore verso la famiglia, l’affetto per i propri cari”

Domenico Vullo, detenuto, da giugno 2021 in Articolo 21, aiutante cuoco in un hotel a Padova.

Cooperativa Giotto | Domenico Vullo | Carcere Due Palazzi | Fuori la Voce
Domenico Vullo

Non ho mai fatto il cuoco prima di finire in carcere, dove ho imparato prima di tutto i segreti della pasticceria, del cioccolato e del  gelato. E questa è la mia prima  esperienza fuori dal carcere dopo quindici anni.

In pratica lavoro fuori e appena ho finito le mie ore (circa attorno alle 16.00) rientro in carcere. Certo era bello lavorare nella pasticceria dentro il carcere, ma fuori è tutto diverso.

E qui, nessuno mi tratta in modo differente, anche se vengo dal Due Palazzi. Lavorare dentro e fuori il carcere è molto importante perché puoi per esempio mandare qualcosa a casa e poi il tempo passa più velocemente”.

“Il carcere cosa rappresenta? Dipende da come uno lo prende. Purtroppo abbiamo una pena e la dobbiamo espiare. Il passato non conta più, ora conta solo il presente, che dobbiamo vivere al meglio. E per me, ora che riesco anche a sentire la mia famiglia ogni giorno, anche con brevi videochiamate, è tutta un’altra vita, anche mentalmente parlando, così come sembra diverso il percorso che sto facendo”.

Matteo Marchetto, Presidente della cooperativa WorkCrossing che gestisce la Pasticceria Giotto all'interno del carcere di Padova.

Famosi i panettoni, circa 60.000 venduti ogni anno in tutto il mondo, da dieci anni stabilmente nella Top Ten nazionale del Gambero Rosso

Matteo Marchetto work crossing | Pasticceria Giotto | Fuori la Voce
Matteo Marchetto

Nella nostra pasticceria dietro le sbarre lavorano quaranta detenuti seguiti da dieci civili.

E ben sette persone stanno attualmente lavorando, in articolo 21, anche all’esterno del carcere, con la nostra cooperativa.

La nostra cooperativa è entrata al Due Palazzi nel 2004 attraverso un progetto di gestione delle cucine, gestito dal Ministero, poi abbiamo capito che qui era possibile lavorare e quasi per provocazione abbiamo portato dentro il nostro fiore all’occhiello, la pasticceria marchiata Giotto.

La cosa più bella nel lavorare con i detenuti è vedere il cambiamento di una persona. E questo ripaga di tutte le difficoltà e gli sforzi che comunque ci sono. 

Il lavoro è poi un lasciapassare importante per il dopo detenzione. Se poi viene da un percorso completo fatto anche di accompagnamento psicologico e scolastico allora anche i numeri della recidiva confermano la bontà dell’operazione: si passa da un drammatico 90% ad un provato 2/3%.

Il massimo?  Un detenuto che ha lavorato con noi che, una volta fuori, si è aperto una pasticceria tutta sua”.

 

A cura di Micaela Faggiani e Francesca Campanini

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