Vivere da badante

di Redazione
Vivere da badante

Le badanti in Italia, la loro vita con l'anziano e la sindrome italiana

Può sembrare scontato dirlo, lo affermano un po’ tutti, ma purtroppo è vero. La popolazione italiana sta diventando sempre più anziana. I dati demografici mondiali, europei e nazionali confermano il costante incremento della vita media della popolazione e il suo progressivo invecchiamento.

In Italia sono circa 12 milioni i residenti di età superiore a 65 anni, di cui circa 3,4 milioni con più di 80 anni. Oggi rappresentano circa il 21% della popolazione ma fra 20 anni , osservando gli scenari demografici Istat, arriveranno a più del 30%. Ed è per sostenere, aiutare e in taluni casi garantire la sopravvivenza di questi anziani, soprattutto di coloro che vengono definiti “fragili”, che sempre più famiglie decidono di assumere delle badanti. Una scelta che soddisfa la necessità di mantenere l’anziano a domicilio e al tempo stesso di garantirgli la sopravvivenza.

Attualmente in Italia si registrano oltre 900 mila badanti (contando anche le irregolari). Una cifra importante che continua ad aumentare di anno in anno, secondo la ricerca “Il valore del lavoro domestico” condotta da Domina, in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa su dati Istat, gennaio 2019.

Vivere da badante - Tratto dalla ricerca "Il valore del lavoro domestico" di Domina e Fondazione Leone Moressa
Tratto dalla ricerca "Il valore del lavoro domestico" di Domina e Fondazione Leone Moressa

Considerate delle eroine in patria per le rimesse che inviano a casa, in Italia vengono percepite solo nel loro ruolo di collaboratrici familiari, di cui gli italiani si fidano ma che, di fatto, conoscono poco; l’interesse per le vicende personali della lavoratrice, da parte del datore di lavoro, non va generalmente oltre a dati generici quali l’età, la provenienza e lo stato civile.

Nonostante questa distanza culturale ed emotiva, alla badante viene richiesto di avere dei requisiti che vanno oltre la mera assistenza: deve essere gentile, disponibile, dare affetto e conforto all’anziano; in un certo senso, infatti, il significato attribuito al verbo “badare” può essere considerato a metà strada tra “lavorare” e “amare”.

Il lavoro di cura, d’altra parte, viene demandato alle donne immigrate in base allo stereotipo che vorrebbe tale attività connessa alla “femminilità”, disconoscendone, in questo modo, il valore di attività lavorativa vera e propria.

Gli anziani assistiti condividono gli stessi spazi con le badanti, facendo insieme ciò che è considerato intimo e familiare, pur avendo spesso conosciuto la convivenza solo con parenti molto stretti.

La distanza culturale è segnata anche dagli stereotipi che vengono connessi alla figura della lavoratrice immigrata e che vorrebbero l’esistenza di pretese “vocazioni culturali”, secondo le quali le asiatiche, e in particolare le filippine, ad esempio, sarebbero più adatte come collaboratrici domestiche che badanti e, viceversa, le polacche, le centro-sudamericane e le altre donne dell’Est europeo più indicate per l’assistenza domiciliare.

A questo si aggiungono problemi di natura giuridica, derivanti da contratti di lavoro spesso non regolari, dall’isolamento rispetto all’ambiente esterno, sia degli italiani che dei connazionali, e soprattutto dalla separazione dalla propria famiglia.

Ciò può avere effetti particolarmente pesanti sull’equilibrio psicologico delle lavoratrici. Nei casi peggiori si crea una totale identificazione tra luogo di lavoro e casa, con una perdita progressiva del proprio spazio privato e un’assenza di distinzione tra tempi di lavoro e di riposo.

La Commissione Parlamentare dell’Ucraina per gli Affari Esteri, in relazione alle implicazioni del lavoro domestico in co-residenza, ha sottolineato come le donne che lavorano soprattutto nel nostro paese spesso sviluppino la cosiddetta sindrome italiana” caratterizzata da agorafobia, aggressività e altri stati di turbamento psichico.

A cura di Pierfrancesco Rupolo

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