Ventiquattro ore dopo ero in Italia

di Valeria Iotti
24 ore dopo ero in Italia

La storia di Cornelia

Ho deciso di venire in Italia nel 2015. Avevo 31 anni, mia figlia ne avrebbe compiuti 12 ed era una studentessa davvero brava. Mio zio e mia nonna stavano bene e avrebbero potuto seguirla. Avevo bisogno di guadagnare di più. Avevo una laurea in marketing e un lavoro in banca da undici anni, ma guadagnavo l’equivalente di 250 euro al mese. Potevo viverci se fossi stata da sola, ma con mia figlia da crescere non bastava.

La mia vicina di casa, che oggi ha 60 anni, era stata fra le prime a partire per l’Italia con ogni mezzo, a conoscere la paura del non avere i documenti in regola, a costruirsi un lavoro che non esisteva. Chiesi a lei. Un pomeriggio mi chiamò e mi disse che aveva trovato una famiglia per me a Pontedera. Fu chiara: appena ci salutiamo fai la valigia e parti, domani devi essere qui.

Ho preso la mia valigia rossa, ho messo dentro  poche cose perché sapevo che in Italia faceva caldo. A pensarci ora quella valigia era soprattutto piena di sogni e desideri. L’Italia mi piaceva: ho sempre seguito la musica e la televisione italiana, mia figlia ha lo stesso nome di una bellissima attrice italiana.

Il giorno dopo ero a Pontedera. La signora anziana che accudivo aveva 96 anni ma era ancora relativamente in gamba. Mi ero presa cura di mio nonno, quell’esperienza di cura mi diceva cosa fare. Quando la signora è mancata, due anni dopo, mi sono spostata in Emilia. Mi sono rivolta a un’agenzia per trovare un nuovo lavoro e, nel giro di poche settimane, ero in una nuova famiglia dove ho trascorso tre anni, trovando un mio spazio.

Ora sono sempre a Reggio Emilia. I miei sogni sono realtà: ho fatto un vigneto nella terra intorno a casa in Moldavia e, grazie a un progetto al quale ho lavorato tantissimo e ai finanziamenti dell’Unione Europea, ho avviato un piccolo allevamento di cincillà. Mia figlia quest’anno si diploma, farà l’università a Chisinau: vorrei poterle comprare un piccolo appartamento. Per questo continuo a lavorare in Italia: mi fermerò solo quando lei e la sua vita saranno al sicuro. Tutto bene quindi? Certo, oggi mi guardo intorno e sono felice di quello che ho conquistato, ma solo io so le sofferenze, le mancanze, le distanze infinite, la paura, lo scoraggiamento… Essere lontana quando i tuoi cari stanno male o muoiono, come è successo nel frattempo a mio zio e mia nonna a cui ero legatissima. Saltare sul primo aereo quando tua figlia sta male, perché sai che in ospedale, in Moldavia, se non hai soldi o conoscenze vieni ignorato, lasciato in attesa in corridoio, qualunque cosa tu abbia.

Mia figlia vuole restare in Moldavia e io lavoro perché lei possa farlo. Internet è fondamentale: ci tiene unite e mi permette di seguire i progetti da lontano. In tutto questo, io non esisto. Di giorno mi occupo della persona che seguo. Dalle 9 di sera alle 9 di mattina c’è mia figlia, le cose da sbrigare per le attività in Moldavia e forse qualche manciata di minuti per studiare, pensare, ricordare quella valigia rossa e farmi un po’ di coraggio per andare avanti. 

Testimonianza raccolta da Valeria Iotti

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