Gli operatori della rieducazione e risocializzazione in carcere

di Redazione

Conosciamo da vicino educatrici, volontarie e psicologhe che operano ogni giorno per e con i detenuti

Evelina Cataldo, Funzionario giuridico pedagogico

Evelina Cataldo, Funzionario giuridico pedagogico | Carcere padova | Fuori la Voce
Evelina Cataldo

“In carcere il lavoro che facciamo è molto complesso e poco conosciuto dalle persone esterne, che non sanno quali sono i nostri compiti istituzionali.

L’invito che faccio è proprio quello della conoscenza di questi percorsi di rieducazione. Perché la funzione del carcere non è solo quella di prevenzione della criminalità ma di riduzione della recidiva.

Se l’istituzione carcere funziona bene e può contare su un tessuto sociale collaborativo queste persone rientrano in società con una visione diversa delle cose e con un’opportunità in più.

Diventano a tutti gli effetti dei cittadini come gli altri che rispettano le regole.

Da parte nostra noi ci occupiamo di osservare e di elaborare un programma individualizzato per ogni detenuto, lavorando in equipe con professionalità diverse, che hanno magari approcci differenti nella gestione della popolazione carceraria”. 

Consuelo Ubaldi, Psicologa Casa di reclusione

“Da sette anni a questa parte entro una volta alla settimana in carcere ed ogni giorno lo vivo come se fosse la prima volta. 

All’inizio mi facevo tanti programmi in testa per poi scontrarmi con la realtà del carcere, dove le dimensioni del tempo e dello spazio sono diverse da fuori. Qui ci sono tante complessità. 

Consuelo Ubaldi, Psicologa Casa di reclusione | Fuori la Voce
Consuelo Ubaldi

Non c’è solo il delinquente comune, il mafioso e l’omicida, ma ci sono anche problematiche psichiatriche, di dipendenza, di violenze importanti.

E quindi la modalità di intervento psicologico cambia a seconda del profilo che ci troviamo di fronte. A me personalmente piace ragionare su un doppio livello: quello del mandato istituzionale che significa osservazione e trattamento del detenuto, che confluisce nella relazione che va al magistrato per l’esecuzione della pena intramuraria, dall’altra c’è la persona.

In particolare voglio citare un progetto importante che stiamo portando avanti, lo psicodramma, progetto costruito e voluto per aiutare soprattutto gli uomini che hanno usato violenza contro le donne e che sono reclusi qui. Per queste persone non basta il trattamento classico legato al lavoro e alle attività. Occorre lavorare nel profondo.

Lo stesso dicasi per i fine pena maiQuello che ho capito dagli ergastolani è che non perdono mai la speranza e se non la perdono loro perché dovremmo perderla noi? Con loro dunque dobbiamo fare un lavoro più introspettivo, più sul qui ed ora, più sulla comprensione di dinamiche relazionali che ci sono nella sezione, sulla prospettiva oltre il mai.

È solo così che li accompagniamo al fine pena mai e li aiutiamo a trasformarlo in opportunità”.

Cinzia Sattin, Funzionario giuridico-pedagogico

Cinzia Sattin, Funzionario giuridico-pedagogico | Fuori la Voce
Cinzia Sattin

“Io lavoro qui dal 2009 nell’area educativa. Qui c’è un ambiente maschile, con schemi mentali maschili e ciò significa per noi donne e professioniste una battaglia quotidiana per tenere alta questa femminilità e il ruolo che è ‘naturalmente’  femminile della rieducazione e risocializzazione. Quanto ai detenuti e alle pene, la società deve rendersi conto che la chiave non si butta via mai. Perchè ci sono pochi ergastoli ostativi, spesso è possibile trasformare il fine pena mai nel territorio, attraverso misure alternative,  anche se rimane la condanna all’ergastolo.

Noi, come professionisti, siamo costretti ad elaborare questo “prodotto”, la persona detenuta, che la società ci consegna e a restituirlo nel miglior modo possibile.

Certo, alcuni reati a volte sconvolgono le viscere, ma dietro ci sono le personec’è sempre qualcosa che va oltre la somma dei suoi reati. E qui in questo “laboratorio della reclusione” è bello vedere come le persone si trasformano”.

Tatiana Mario, volontaria in carcere da tre anni attraverso la cappellania del carcere Due Palazzi

Già giornalista e redattrice de La difesa del Popolo, settimanale diocesano di Padova. 

Tatiana Mario Volontaria al Carcere Due Palazzi | Padova | Fuori la Voce
Tatiana Mario

Tra le attività che ha svolto in carcere come volontaria quella di raccontare le storie della popolazione carceraria tutta e delle persone che gravitano attorno ad alcuni reati nella Via Crucis del 2020, in piena pandemia, assieme a Papa Francesco in una silenziosissima Piazza San Pietro.

Papa Francesco mi ha chiesto di raccontare la comunità del carcere e tutte le persone che scommettono sul reinserimento sociale dei detenuti. È stato un viaggio faticoso che però mi ha insegnato molto”.

Il volontariato in carcere? Non l’ho scelto, è capitato e quando ho deciso di trovarci un significato ho capito che è sicuramente quello di voler  fare qualcosa per il mio paese, andando verso la rieducazione di queste persone che possono avere una seconda opportunità. In più ci ho aggiunto la fede.

Il Vangelo insegna che nessuno è perduto e che il Signore ci chiama per nome, come chiama per nome anche questi ragazzi che, nonostante tutti i fallimenti, gli errori, il dolore che hanno provocato ad altri, alle loro famiglie e a sé stessi, non sono perduti se gli facciamo vedere che oltre le sbarre c’è qualcos’altro”.

 A cura di Micaela Faggiani e Francesca Campanini

Potrebbe interessarti anche...

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da parte di questo sito web.