Zoombombing

di Francesca Campanini

Semplici disturbatori o soggetti pericolosi?
Per la filosofa Maura Gancitano sono dinamiche tossiche.

Si chiama zoombombing.
Tradotto in immagine è un assalto piratesco via web mirato ad interrompere lo svolgimento di eventi pubblici online, con insulti, video o foto offensive. E Zoom è appunto una delle piattaforme più utilizzate per incontrarsi sul web.

La filosofa Maura Gancitano, co-fondatrice del canale di divulgazione culturale e di sensibilizzazione sui temi di attualità Tlon, ci invita a riflettere sull’affermarsi di questo fenomeno nella dimensione online, la nostra nuova realtà.

Come si può descrivere questo fenomeno? Si può intendere come una serie di atti di maleducazione fini in se stessi, oppure c’è altro dietro?

Zoombombing - Maura Gancitano

“Lo zoombombing è in qualche modo un’evoluzione di dinamiche tossiche che esistevano già sui social: le shitstorm e i flame: i fuochi che si accendono di fronte a fatti di attualità, che portano molte persone a discutere e magari insultarsi, lanciandosi in discorsi di odio le une contro le altre.
È un passo successivo che si è venuto a creare negli ultimi mesi in tanti ambiti diversi. Si tratta spesso di gruppi organizzati che decidono a monte di impedire e di rendere sempre più difficile un incontro pubblico digitale.

Avviene in particolare quando si parla di parità di genere e di temi che comportano cambiamento culturale: quindi razzismo, abilismo e tutti i temi legati alle discriminazioni e alle disuguaglianze.

Questa cosa sta avvenendo in particolare negli incontri digitali su piattaforme private, avviene molto nelle università, è una cosa che a me è successa spesso.”

Quindi gli incontri che sono bersaglio di questi attacchi sono quelli che trattano di tematiche sensibili e di genere, spesso quelli in cui sono presenti relatrici donne.

Che cosa ci dice questo riguardo alla condizione delle donne nello spazio pubblico e di confronto nella nostra società?

“Ci sono dei corpi di alcune persone che corrono più rischi rispetto ad altre, quindi corpi femminili, corpi che in qualche modo vengono più facilmente attaccati. Lo stesso vale per le identità digitali.

Nel momento in cui ci si trova di fronte a una donna, a una persona trans, a una persona nera, a una persona con disabilità è più facile che questi gruppi decidano di attaccare. Soprattutto se si sta facendo un discorso che mira proprio a dare spazio a delle identità marginalizzate. Evidentemente non agiscono sulla base di temi casuali.

Si attivano nel momento in cui c’è qualcosa che dà molto fastidio o provoca loro molta paura, quando si tratta di temi che sconvolgono lo status quo, per esempio appunto tutti i discorsi sull’inclusione.

In quel caso arrivano, e molto spesso i simboli che vengono usati non sono solo sessisti o razzisti: sono nazisti, sono fascisti, quindi si tratta di simbologie che dovremmo esserci lasciati alle spalle, invece purtroppo no”.

Da un anno a questa parte siamo costretti a portare i nostri spazi pubblici e di confronto sul web, secondo te quanto questo influisce sulla frequenza e diffusione degli episodi di silenziamento? Sono nati i “leoni da zoom”?

Zoombombing

“Quando si creano questi fenomeni e si diffondono così velocemente significa che alla base c’è un irrisolto, può essere anche frustrazione, paura, bisogno di riconoscimento…

Questa cosa deve essere affrontata dal punto di vista dell’educazione, ed è la ragione per cui mi auguro che si facciano sul fenomeno dello zoombombing delle raccolte di dati.

So che si fanno, in ambito accademico e negli istituti di ricerca, rilevazioni di dati sulle dinamiche tossiche che accadono sul web, non so sullo zoombombing in particolare, ma secondo me è importante capire l’ampiezza di questo fenomeno.

È importante anche fare in modo che, per esempio, gli insegnanti che si trovano di fronte a comportamenti del genere, durante una lezione o un incontro con persone esterne alla scuola, sappiano come reagire nel momento specifico.

Questo ha a che fare anche con l’educazione digitale, che deve essere portata avanti insieme all’educazione civica e all’educazione sentimentale. Perché evidentemente se accade che un ragazzo o una ragazza, anche se poi è un fenomeno soprattutto maschile, si comporta in questo modo durante una lezione, non basta reprimere o escludere, espellere quella persona.

Bisogna domandarsi perché si sta comportando così e quindi capire quali sono gli irrisolti e le frustrazioni, dove, per esempio se usa certi simboli, ha preso questi simboli, perché non ne riconosce la problematicità”.

Allora visto che gli strumenti del web si prestano anche ad essere, in certi casi, dei mezzi di silenziamento, come possiamo invece renderli dei megafoni che amplifichino le voci marginalizzate? Lo chiedo anche perché mi sembra che sia esattamente questo che Tlon cerca di fare: creare spazi di espressione e confronto sul web.

Zoombombing

“Sì, quello che cerchiamo di fare con Tlon, attraverso le pubblicazioni e attraverso la divulgazione online è cercare di creare dibattito e di rendere questo dibattito accessibile per tutte le persone che hanno voglia di partecipare.

In tutto questo il web è un luogo che non siamo in grado di abitare, perché non c’è stata un’educazione digitale prima: abbiamo iniziato ad abitarlo e poi, dopo molti anni in realtà, abbiamo iniziato a chiederci come lo stavamo abitando e cosa stava venendo fuori.

Quello che è successo soprattutto negli ultimi anni è che si sono moltiplicati questi spazi.

Tante persone che non avevano spazio di discussione, di visibilità nel mondo reale, diciamo nel dibattito pubblico classico, hanno iniziato ad averlo. Però questo innesca tutta una serie di dinamiche, come quella di cui abbiamo parlato.

Dobbiamo farci delle domande, cercare di aprire dei dialoghi anche con persone molto lontane da noi. Cercare di capire che intanto lo spazio pubblico digitale non è solo uno spazio di intrattenimento.

Sicuramente è uno spazio diverso rispetto a quello fisico, in cui alcune cose non si possono fare, perché ci sono dei limiti strutturali, ma in cui tanto altro si può fare, e ancora non l’abbiamo sperimentato fino in fondo.

Quindi come dire, nonostante il tema sia legato a una dinamica tossica, io credo comunque che ci siano ancora tante possibilità per fare del buono e per lavorare alla creazione del bene comune sul web”.

www.tlon.it

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