Pubblicità ovvero una società priva di unicità

di Redazione

La pubblicità riletta e analizzata da una diciassettenne, tra limiti e pregi

Giulia Venturato studentessa Liceo Duca D'Aosta

Sono Giulia Venturato, ho 17 anni e sono una studentessa del liceo Duca d’Aosta di Padova.

Ho deciso di scrivere un pezzo sulla pubblicità perché quotidianamente vengo travolta, come tutti, da annunci di vario tipo semplicemente guardando la tv o sfogliando una rivista.

Credo che, nonostante le pubblicità consenta alle imprese di avere lavoro, influenzi troppo il singolo individuo, privandolo, in alcuni casi, della sua stessa identità.

Al giorno d’oggi la pubblicità è una forma di comunicazione persuasiva che interessa la vita di ciascun individuo.

Questo perché influenza le conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti del soggetto a seconda degli ambiti in cui esso opera.

La pubblicità è utilizzata principalmente dal commercio, per vendere prodotti, ma serve anche  alla propaganda sociale, religiosa e politica, per fare nascere dibattiti tra le persone o ottenere consensi o convertire opinioni e comportamenti.

Nel complesso, quando si parla di pubblicità, ci si riferisce ad un messaggio di varia natura che sia:breve, semplice e suggestivo.

L’affermazione detta da un calciatore che sponsorizza un profumo, pronunciata dal politico durante un’intervista o sussurrata da una modella, deve essere convincente. Altrimenti non ha ragione di esistere. 

Gli annunci vengono diffusi per mezzo di strumenti tra loro differenti quali, tra i tanti, i giornali, le riviste, la televisione e ultimamente, sempre di più, anche i social.

La pubblicità commerciale è sicuramente quella che ci riguarda più da vicino. Questo perché influenza, nello specifico, la domanda di beni e  servizi all’interno di una società.

A soddisfare i bisogni dei cittadini in una comunità, oltre allo Stato che gestisce i servizi principali, sono le imprese.

Queste ultime, di fronte alla domanda di beni, ne portano avanti l’ offerta.

Dietro l’attività di un’impresa, infatti, è presente il cosiddetto “marketing”.

Si tratta delle tecniche usate per mettere a disposizione del consumatore merci e servizi all’interno del mercato.

Al fine di indurre il soggetto ad acquistare un dato bene, l’impresa crea le pubblicità, assolutamente impersonale, ossia rivolta ad un ampio numero di individui.

In una società globalizzata come quella di oggi, data l’elevata produttività, è possibile l’acquisto di beni e servizi in quantità sempre maggiori.

Questa situazione frutta positivamente alle imprese che, producendo moltissimo, hanno buoni riscontri da parte degli individui facenti parte di una comunità.

Dietro tutto ciò, però,  con il passare del tempo, si è sviluppato un fenomeno che, nel ventunesimo secolo, sta prendendo il sopravvento. Mi riferisco al concetto di “consumismo”.

Le persone, in seguito all’ampia disposizione di merci offerta dalle imprese, hanno cominciato ad assumere atteggiamenti consumistici. Ciò significa che ciascun individuo non si soddisfa più soltanto i suoi bisogni primari ed essenziali, ma anche e soprattutto quelli ritenuti inutili.

In questo modo, visto l’estremo successo di un prodotto rispetto ad un altro, nascono le marche.

Le imprese, nel momento in cui marchiano un abito piuttosto che una confezione di salumi, ne aumentano il prezzo.

Gli individui, anche se non hanno questa grande necessità di acquistare la merce, lo fanno comunque, perché influenzati non soltanto dalle pubblicità, ma anche dagli altri individui.

Lo sviluppo delle marche, dunque, spinge all’omologazione tra i soggetti.

Ogni individuo si comporta come l’altro compiendo, in ambito economico, le sue stesse azioni, i suoi stessi acquisti. Pensa e desidera come pensano e desiderano gli altri. 

In questa nuova e, per il soggetto, dannosa situazione, si afferma una società irreale ma soprattutto  inautentica.

Una comunità dove non sono gli uomini a manipolare e gestire le loro esistenze, bensì il mercato.

Alla base di tutto non il benessere collettivo ma il guadagno, non le persone ma le cose. 

A generare questo complesso contesto è l’astuzia della produzione che continua, giorno dopo giorno, a provocare un’illusione di libertà nel singolo individuo.

E’ importante riconoscere che, ad essere in ballo in una società di questo tipo, ossia la nostra, non è un qualcosa di surreale ma l’identità di ogni persona che, per quanto unica, viene ininterrottamente compromessa. 

Personalmente ritengo dunque che, se le imprese, in primis, non incominciano ad osservare il popolo, ossia la clientela, non soltanto come motivo di guadagno ma anche e soprattutto, come un elemento vitale, la società, con il passare del tempo, perderà tutta la sua essenza fino a diventare immateriale ed annullarsi.

In secondo luogo è la mentalità del singolo che deve cambiare.

Se è infatti sensibile al pianeta in cui vive, nel momento in cui fa un acquisto, non dà retta soltanto ai suoi desideri ed istinti, ma prende in considerazione problemi di maggiore importanza quali, ad esempio, l’inquinamento e la fame nel mondo.

Si tratta di  situazioni tipiche della società attuale che, nonostante io le abbia soltanto accennate e possano sembrare banali, incidono moltissimo sulla vita di ciascun individuo.

Situazioni che, per essere combattute più velocemente, oltre che dell’intervento delle istituzioni, necessitano del contributo di tutti.

Articolo di Giulia Venturato – studentessa Liceo Duca D’Aosta Padova

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