Grandi e piccole violenze sotto traccia

di Alessia Da Canal

Fanno male e condizionano la vita.
Anche se le abbiamo ignorate e quasi mai raccontate.

Roberta, 25 anni, comincia il suo racconto e la voce subito si spezza, perché il ricordo fa male ed è come se non fossero passati vent’anni da quella festa di compleanno, il dodicesimo, in famiglia. Al momento di riordinare le sedie, quando tutti se ne vanno, il compagno di sua zia le si avvicina. “Mi dice che ero bellissima, inizia a toccarmi il seno e non mi lascia andare via. Mi dice che è presto ma mi aspetterà. Fortunatamente in quel momento è arrivata mia mamma e mi ha lasciato andare. Lui avrà avuto trenta, quarant’anni. Non l’ho raccontato a nessuno, ma una notte non riuscivo a dormire e l’ho detto a mia mamma. Ѐ una cosa che mi ha segnata, sì. Anche adesso nei momenti intimi certe cose mi fanno irrigidire”. 

Anche Donatella aveva 12 anni quando ha subito la prima violenza. Era adolescente ma sembrava già un’adulta e al mare si era invaghita di un ragazzo che era diventato il suo primo fidanzatino. “Una sera il mio gruppo ha deciso di uscire con il risciò, ci siamo divisi e con me è voluto salire un altro ragazzo. Durante la pedalata si è bloccato in un luogo appartato e ha cominciato a toccarmi. Mi sono ritratta, ma lui mi ha minacciato di non dire niente agli altri altrimenti avrebbe detto a tutti che mi ero lasciata toccare. Mi sono sentita indifesa e mi è rimasta la sensazione di sfiducia: sapevo che mi avrebbe deriso con gli altri, anche con il mio ragazzo”. Non è stata l’unica violenza subita da Donatella, oggi quarantaduenne. In età più adulta ricorda la festa degli alpini nella sua città e il clima di delirio che si respirava. “Tornando da sola in auto c’era un gruppo di ragazzi che al semaforo ha cercato di entrare nella mia macchina. Ricordo il gelo, la paura. Non so cosa sarebbe successo se non avessi avuto gli sportelli chiusi dall’interno. Ho avuto paura, una sensazione bruttissima”. 

I dispiaceri di Paola, che le hanno segnato la vita, cominciano dall’adolescenza e sono legati al suo seno prosperoso. “Le battute erano all’ordine del giorno, soprattutto a scuola. Quando diventavano pesanti mi facevano sentire insicura. Non avevo più un viso… avevo solo le tette. Mi davano dei nomignoli, non mi piacevo più, tendevo a nascondere il seno”. Con il passare del tempo ha imparato a conviverci. Poi è stato il mondo del lavoro a colpirla. Oggi ha 30 e racconta di aver capito che la solidarietà femminile è tutta da costruire. “Tra donne c’è la guerra. Al mio arrivo ho subito il mobbing dalle colleghe. Se chiedevo qualcosa mi rispondevano ‘Non lo so, non ho tempo, vedi tu’. Se so fare il mio lavoro lo devo ai colleghi maschi che mi hanno aiutato. Ѐ vero che nel mondo del lavoro sopravviviamo e forse se arriva una persona nuova inconsciamente pensi di reprimere, di non aiutare. Sono diventata diffidente, anche se adesso mi sento fortunata, perché ho trovato un posto di lavoro dove le donne sono solidali. Ѐ molto bello”. 

Di cose che fanno male Anna, 45 anni, ne ha tante da raccontare. “Dal complimento pesante ai doppi sensi, davvero tante… ma ci si abitua”. Quello che non passa è altro. “Avevo 18 anni e dopo un corso di presciistica salgo in macchina con dei compagni di corso. Lui accompagna a casa la moglie e poi accompagna me e ci prova in maniera aggressiva. Ho aperto la porta della macchina e sono scappata via”. Qualche anno dopo, a ridosso della laurea, è la volta del suo relatore di tesi. “Ha provato ad abbracciarmi e a baciarmi in maniera piuttosto violenta e l’ho allontanato. Ci ha riprovato una seconda volta e l’ho respinto con forza. Lui è diventato tutto rosso, si è scusato, io ho preso il cappello e me ne sono andata. Sono tornata a casa con un’unica grande lacrima silenziosa. E mi ricordo perfettamente com’ero vestita perché ho pensato se avessi fatto qualcosa o fossi vestita in modo provocante. Indossavo dei jeans, gli anfibi e un maglione lungo fino al ginocchio”. 

Anche Stefania, 55 anni, ricorda due episodi. “Da piccoli andavamo spesso con i parenti in un ristorante in montagna. Il cameriere era molto gentile, mi abbracciava e si dondolava contro di me. Ho capito dopo molti anni che in realtà si masturbava”. L’altra violenza risale all’adolescenza, al tempo in cui andava in vacanza con zii e cugini. “Dormivo in un letto a castello. Mio cugino si intrufolava con la mano sotto le coperte e mi toccava. Per me era diventato un incubo andare in vacanza se c’era lui. Mi avvolgevo tra le coperte di notte perché non riuscisse a toccarmi. Sono convinta che questo mi abbia condizionata nei rapporti”. 

Martina ricorda che alle elementari era molto brava, ma al momento della separazione tra i suoi genitori cominciò ad andare molto male, al punto da essere bocciata per ben due volte. “Da qui iniziarono le mie esperienze di bullismo. Mi prendevano in giro per l’apparecchio, il mio aspetto fisico e per il mio cognome che si diceva portasse sfortuna. Ero isolata, se non fosse stato per una migliore amica che mi dava una mano a passare quelle giornate di solitudine”. Alle superiori si innamora, conosce il suo futuro marito. Dopo un anno e mezzo di matrimonio lui la tradisce. “Mi cade il mondo addosso. La concezione della coppia si trasforma. Cambio anch’io. Poi resto incinta e decidiamo di avere questa bambina. Perdo il lavoro e per sette anni mi devo adeguare lavorando come operaia. Io volevo cercare un lavoro che mi piacesse, ma mio marito non voleva. Mi sento chiusa, in trappola e quindi inizio a trattarlo male perché non mi dava una mano economicamente. Mi tradisce di nuovo e inizio ad avere problemi psicologici. Sono giovane, ma mi sento di avere sessant’anni per quante ne ho passate. A volte è dura, anche se ho imparato a credere in me. Ma sono cambiata profondamente: ero una bambina aperta e socievole, adesso non mi fido più di nessuno”.

Violenza di genere, pedofilia, bullismo, mancanza di rispetto, mobbing, scarsa considerazione… In una manciata di interviste raccolte in breve tempo, un mix di episodi nei quali molte di noi quasi certamente si rispecchieranno. Non sono storie che finiscono sui giornali perché, fortunatamente, nessuna di queste donne ha subito uno stupro e tutte sono qui a raccontare. Fuori la Voce ha scelto di dare spazio a queste piccole e grandi violenze, perché non si pensa quasi mai alle conseguenze che possono avere. Sono sotto traccia, ma segnano e condizionano, a volte in maniera indelebile, la nostra vita.

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