Chi odia paga

di Micaela Faggiani

Odio online, ti diciamo cosa fare.
Grazie alla startup di Francesco Inguscio

In rete il 50% degli insulti sono rivolti alle donne.
A dirlo anche i numeri raccolti da Vox Diritti, l’osservatorio che fotografa l’odio che viaggia nel web. L’osservatorio d’odio al quale lavorano le università di Milano, Bari e Roma ha analizzato 2 milioni e 700 mila tweet in sette mesi di lavoro, nella seconda edizione de “La Mappa dell’Intolleranza”.

Il tutto utilizzando un sistema per l’estrazione e l’analisi di contenuti pubblicati sui social network, compreso il ‘sentiment’ che sta dietro i tweet. La scelta di Twitter non è un caso, perché secondo gli esperti, sebbene tra i social network non sia quello maggiormente utilizzato per la condivisione di stati personali, Twitter permette di re-twittare ed è dunque una comunità virtuale continuamente in relazione e con l’utilizzo degli hashtag offre una buona sintesi del sentimento provato dall’utente che può essere diffuso attraverso un infinito numero di profili, spesso ‘garantito’ dall’anonimato della rete.

A citare Vox è Francesco Inguscio, padovano nella sua prima vita, milanese nella seconda, anche se le origini, come dice il cognome sono altrove, più a Sud. Trentasette anni, amministratore delegato e fondatore del primo incubatore virtuale in Italia, Nuvolab, venture accelerator di startup innovative e società di consulenza per l’innovazione.

Laureato con lode alla facoltà di Economia di Padova, a ventotto anni diventa managing director dell’incubatore di startup M31 Usa in Silicon Valley (il primo incubatore italiano aperto in Silicon Valley).

Oggi è a Fuori la voce per parlare della sua nuova creazione ‘Chi odia paga’, startup che punta a combattere l’odio online con gli strumenti offerti dalla legge, offrendo anche assistenza legale «in tempi rapidi» e per il momento gratuita, grazie ad un fondo Oltreventure che finanzia le startup che costruiscono soluzioni innovative ad alto impatto sociale.

Chi odia paga

Come? Con una piattaforma web messa a punto, anche giuridicamente parlando, da un team di legali specializzati. Un esempio di quello che in gergo si chiama Legal Tech, cioè l’uso della tecnologia per offrire servizi di natura legale. La start up conta di colmare quel gap di giustizia in questo campo che purtroppo c’è e gli ultimi dati della Polizia Postale relativi al 2020 lo dimostrano.

Si parla di 2234 segnalazioni per diffamazione online a cui sono seguite 906 denunce e solo un arresto, anche se statisticamente parlando sui social si conta un insulto passibile di denuncia ogni minuto. E ancora i dati 2020 della Polizia Postale in Italia parlano di 126 segnalazioni per revenge porn, 59 denunce e 0 arresti; 143 segnalazioni, 73 denunce e 7 arresti per cyberstalking; per estorsione online 636 segnalazioni 36 denunce e un 1 arresto; per minacce e molestie 1001 segnalazioni 207 denunce e soli 2 arresti.

Perchè molti – spiega Inguscio – non sanno nemmeno quali sono i loro diritti, come muoversi, a chi affidarsi e come arrivare fino in fondo. Noi vogliamo far giustizia in questo senso, ci piacerebbe arrivare anche a mettere in galera gli odiatori, ma ci limitiamo a quello che vuole la vittima a cui offriamo anche assistenza psicologica.

Nella maggior parte dei casi infatti chi è vittima di queste sopraffazioni ha seri problemi di autostima. Soprattutto se si tratta di ragazzini, adolescenti che purtroppo a volte arrivano a gesti estremi, come la quattordicenne Carolina Picchio”.

Quello che offre Chi odia paga è un servizio a 360 gradi attorno all’odio. Supporto informatico in primis, con la legalizzazione delle prove, con l’acquisto degli insulti online rendendoli riproducibili in giudizio.

“Non pensate che lo screenshot dell’insulto online – continua Inguscio – sia una prova da portare in tribunale. Non lo è, noi dobbiamo in termini tecnici cristallizzarla, perchè con i programmi di modifica e di editing lo screenshot è modificabile e manipolabile.

La seconda azione di Chi odia paga è la rimozione degli insulti ovunque essi siano, dal blog ai social, a Youtube per poi passare all’identificazione dell’odiatore online.

“E qui sta la parte più difficile – sono le parole dell’ideatore della startup – perchè ci sono gli haters della domenica, ossia quelli che insultano con il proprio nome e cognome e quelli invece di professione che dobbiamo andare a scovare con i nostri programmi creati appositamente.

Poi viene il supporto legale per le vittime, a partire dalla diffida automatica con lettere create ad hoc da inviare agli odiatori per una dissuasione bonaria, alla vera e propria denuncia e querela con relativa richiesta di risarcimento danni.

Infine, appunto, il sostegno psicologico che lavora sull’impatto sociale, personale e lavorativo dell’odio riversato online. Un caso per tutti quello della professoressa torinese licenziata per un video diffuso in rete che la vedeva coinvolta”.

“La realtà è che c’è uno spread di giustizia in Italia – conclude Inguscio – rispetto all’odio in rete. È veloce e facile insultare online e lento e difficile difendersi. Ma noi siamo partiti proprio da qui per colmare il gap, che torna ancora una volta all’inizio di questa nostra intervista, alle donne che sono il bersaglio preferito. Chi odia deve pagare e non solo online.

Info: www.chiodiapaga.it

Leggi anche l’articolo correlato: “La storia di Carolina Picchio

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