Le adozioni internazionali con SOS Bambino I.A. APS

di Redazione
SOS bambino - Adozioni internazionali

Dal 1996 SOS Bambino accompagna le coppie di aspiranti genitori per tutto il percorso adottivo. Grazie a operatrici esperte e all’aiuto di consulenti psicologi, avvocati e di medici. All’estero c’è uno staff di operatori che accompagna la coppia nell’iter dell’adozione in loco.
Parla la presidente Egles Bozzo

Presidente Bozzo ci può sintetizzare in poche battute cos’è l’adozione internazionale?

L’adozione internazionale è lo strumento giuridico che permette di dare una famiglia a un minore che vive in stato di abbandono in un Paese straniero; attraverso questa procedura, che è una tutela per il minore, il bambino, privo di genitori e di familiari biologici, diventa figlio legittimo a tutti gli effetti, come se fosse nato nel matrimonio. Dal punto di vista pratico, invece, significa accompagnare la coppia e la famiglia prima, durante e dopo l’adozione, affinché questa esperienza possa trasformarsi in una reale opportunità per il bambino di avere due genitori e una famiglia che lo guidi lungo il percorso di crescita e di vita.

Qual è la funzione dell’Ente?

L’Ente, come dicevo, accompagna la famiglia, vale a dire informa e forma su tutti gli aspetti dell’adozione internazionale: culturale, burocratico e sanitario; raccoglie il conferimento dell’incarico, l’atto formale con il quale la coppia dichiara a tutto il mondo adottivo chi sarà incaricato a seguirli; attraverso corsi, work shop e colloqui con persone esperte, prepara la famiglia all’incontro con il bambino.

È l’organo che tiene i rapporti con le Autorità Straniere e, con il supporto di referenti qualificati che operano in loco, si occupa di gestire tutto il flusso di documenti che lo Stato estero richiede, e di acquisire tutte le informazioni necessarie (sanitarie, scolastiche, sociali) relative al minore proposto in abbinamento alla coppia.

Egles Bozzo - Presidente "SOS bambino"
Presidente Egles Bozzo

L’Ente assiste, tramite il referente, i futuri genitori durante il viaggio all’estero, sia nel delicato momento dell’incontro con il bambino sia nel rientro a casa.

Ma il ruolo non si esaurisce qui, anzi, la nostra presenza diventa determinante nella fase del cosiddetto post adozione, non solo dal punto di vista delle incombenze da espletare nei confronti del Paese d’origine (report previsti dalla legge) ma soprattutto nel fornire alla nuova famiglia tutti gli strumenti utili per favorire un buon inserimento.

Ogni Ente, per questo aspetto specifico, si struttura in autonomia, noi investiamo molto nel post adozione proponendo attività e iniziative di medio e lungo periodo per gestire l’ingresso a scuola o l’età critica dell’adolescenza.

Come si ottiene, al di là delle procedure burocratiche, l’autorizzazione ad operare con un Paese straniero? Che tipo di relazioni diplomatiche servono?

Oggi per poter operare in un Paese straniero serve l’autorizzazione della CAI (Commissione Adozioni Internazionale), una procedura lunga e complessa. Pensi che solo per presentare la domanda l’Ente deve dimostrare di avere determinati requisiti. Per prassi, innanzitutto, l’Ente inizia a cooperare con le Autorità locali, con le altre organizzazioni di volontariato e con i singoli istituti al fine di consolidare credibilità e professionalità nell’ambito dell’infanzia abbandonata. Ci vogliono anni!

Infine servono anche i buoni rapporti diplomatici della CAI, in un Paese si lavora bene se anche la Commissione stabilisce e mantiene buone relazioni con le Autorità centrali e ratifica accordi bilaterali. Penso che solo con un lavoro coordinato tra Enti, CAI e Ambasciate le famiglie possano essere ben accompagnate nel percorso dell’adozione internazionale.

 

Cosa intende esattamente con “accompagnare” la coppia verso l’incontro con il bambino?

Significa sostenerla e aiutarla a comprendere bene dove mettere i paletti, cioè i punti fermi delle proprie disponibilità e anche dei propri limiti.

L’Ente ha il dovere di spiegare con trasparenza la realtà dell’adozione internazionale oggi, che certo non è quella dell’esperienza di amici o conoscenti che hanno adottato anni fa; questo è un mondo che muta a gran velocità, un esempio per tutti le età dei bambini sono cambiate, oggi arrivano in Italia bambini molto più grandi rispetto a dieci anni fa e anche più fragili dal punto di vista sanitario.

L’Ente è come se aprisse una finestra sul Paese di origine per far comprendere il più possibile ai futuri genitori la cultura e il bagaglio di esperienze che il bambino porterà con sé. È un gran lavoro! Va fatto formando e informando correttamente.

Da quando lei ha adottato e poi ha deciso di fondare SOS Bambino com’è cambiata l’adozione internazionale?

Da quando ho adottato io le cose sono molto cambiate, all’epoca non c’erano gli Enti, non c’era l’Autorità Centrale e ci si affidava a un ufficio delle Ambasciate; inoltre eravamo esposti al rischio di imbatterci in intermediari di “dubbia moralità”.

Con la Convenzione dell’Aja è cambiato tutto, c’è più tutela dei minori e delle famiglie ma è aumentata la burocrazia e di conseguenza si sono dilatati i tempi di attesa, inoltre, per il principio di sussidiarietà i bambini per l’adozione internazionale sono più grandi. Tuttavia ritengo che tale procedura sia  necessaria e utile.

Le adozioni erano già in crisi, poi, nel 2020, è arrivato il Covid-19, una dura batosta mondiale. Come avete gestito l’emergenza soprattutto con le coppie che stavano per concludere il loro iter adottivo?

Le adozioni erano già in calo da anni e le statistiche parlano chiaro, poi è arrivato il Covid ed è stata una sciagura.

Abbiamo gestito la crisi seguendo l’andamento dei Paesi presso i quali operiamo, per esempio con la Russia cercando di riportare in Italia le coppie che erano all’estero, poi tutto si è fermato fino al 28 giugno 2021.

Con gli altri Paesi abbiamo lavorato, a rilento o in smart working, ma senza bloccare l’iter e sperimentando nuovi accordi con i Paesi come per esempio la gestione della socializzazione con il bambino attraverso incontri on line preparati dall’Istituto e dal nostro staff tecnico.

Anche con le coppie in attesa le attività di accompagnamento pre-adottivo si sono svolte on line, continuando a far sentire “a distanza” il supporto dell’Ente.

Nel 2020, in piena pandemia, nasce EANET for adoption un network di dieci Enti autorizzati, quali sono gli obiettivi?

Dieci Enti autorizzati alle adozioni internazionali hanno deciso di fare rete per affrontare insieme le sfide che questo momento storico presenta, i problemi sono comuni e abbiamo capito che da soli non si approda da nessuna parte. Gli obiettivi sono: la centralità del minore, la cooperazione e la sussidiarietà dell’adozione; il sostegno alla famiglia; la valorizzazione dell’Ente che svolge una funzione pubblica a tutt’oggi non riconosciuta. Infine lo scopo di EANET è quello di creare una vera e profonda collaborazione tra Enti per rilanciare l’adozione internazionale.

EANET for adoption ha una caratteristica distintiva: il nostro portavoce è esterno. Attraverso il portavoce siamo riusciti a riavviare il dialogo con la Commissione Adozioni Internazionali sia con la Presidente Bonetti sia con il Vicepresidente Starita.

 

Il motto del suo Ente è: “Non ci sono bambini non voluti, solo famiglie non trovate”, lei come vede il futuro dell’adozione internazionale?

In questo momento serve rilanciare, gli Enti devono farlo assieme alla Commissione, ma anche con le strutture del territorio e le ambasciate. Tutti dobbiamo lavorare nella stessa direzione, trovando un’intesa comune per raggiungere l’obiettivo, perdere questa sfida sarebbe un fallimento, non tanto per gli Enti ma per i bambini e le famiglie che non riuscirebbero a incontrarsi e costruire insieme un nuovo futuro.

www.sosbambino.org/

Articolo di Daniela Rossi

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