Il Pride secondo voi

di Francesca Campanini

Con un sondaggio online e interviste sul campo al Padova Pride Village ci siamo fatte raccontare il mondo arcobaleno da giovani e adulti.

I temi LGBTQ+ sono la nuova sfida culturale del XXI secolo? Difficile dirlo con sicurezza, ma certo è che negli ultimi anni il dibattito in merito si è fatto accesissimo. Negli ultimi mesi le iniziative politiche, come il DDL Zan, hanno fatto di questi argomenti il campo privilegiato delle lotte per i nuovi diritti civili rivendicati dai millenials.

Secondo il nostro sondaggio la maggior parte delle persone crede che informarsi in merito a questi temi sia molto (30.4% delle risposte) o abbastanza (44.6% delle risposte) importante. Quando viene chiesto loro il motivo, l’82.1% risponde che ciò li “metterebbe nelle condizioni di interagire in maniera rispettosa con i membri della comunità LGBT+”.

Del resto sono gli stessi membri di questa comunità che, intervistati al Pride Village di Padova, insistono sulla necessità da parte della società di conoscere per comprendere: “La migliore informazione è quella che fa capire alle persone che non ci conoscono cosa siamo, che siamo persone normali e che dobbiamo essere accettati.

Posso capire che sia un po’ più difficile per gli anziani, per esempio, ma non è una giustificazione per il rifiuto di accettarci” – sottolinea un ragazzo sui vent’anni con cui abbiamo chiacchierato all’evento.

Ma qual è il modo attraverso cui persone omosessuali, bisessuali, transgender, non binary ecc… cercano di manifestare il proprio mondo e modo di essere? Dal 27 giugno 1969 lo fanno all’insegna di una parola: Pride, che tradotto significa “orgoglio”, “fierezza”. La data fa riferimento all’evento storico della reazione di ribellione da parte della comunità LGBT+ newyorchese a seguito dell’ennesimo blitz, fatto di pestaggi e maltrattamenti, messo in atto dalla polizia nel locale gay Stonewall.

A partire dall’anno successivo, i Pride come manifestazioni della comunità LGBT+ si sono ripetuti annualmente e poi diffusi in tutto il mondo. Oggi sono festeggiamenti, luoghi di aggregazione pacifica e di svago, come il Padova Pride Village, ma la loro origine affonda in importanti battaglie politiche.

Di questo in molti sono consapevoli: l’85% degli intervistati nel nostro sondaggio online risponde di considerare le manifestazioni e l’attivismo LGBT+ come strumenti di lotta per l’uguaglianza e riconoscimento dei diritti. Alcune persone però criticano le modalità con cui la comunità arcobaleno cerca di raggiungere i suoi obiettivi: il 7.1% le considera libere espressioni di pensiero, accettabili però solo se non impattanti sulla vita pubblica; alcuni (3.6%) le ritengono necessarie ma talvolta esagerate, altri le considerano come puri atti di esibizionismo (1.8%).

Non siamo più negli anni ’60, eppure ovunque nel mondo persone LGBT+ continuano a essere vittime di violenze e a trovarsi esposte al pericolo.

Come ci racconta un giovane al Padova Pride: “Senza una legge che mi tutela io la sera ho paura a uscire da solo, perché non si sa mai… Entri in un gruppo, entri in una piazza…

Ci è già successo quando eravamo insieme – dice riferendosi al ragazzo che è lì con lui quella sera – arrivava qualcuno e iniziava a infastidire. Noi non potevamo fare nulla, non c’era niente che poteva tutelarci, quindi una legge così serve, è necessaria”.

Si riferisce al DDL Zan, una proposta di legge il cui esito di successo è più sperato che effettivamente creduto realistico, anche dalla stessa comunità LGBT+. Un signore sulla quarantina seduto a un tavolino del Pride Village definisce la concretizzazione del progetto politico di Zan “un tour de force”, tutte le persone a cui al Pride Village chiediamo pronostici in merito, a cui domandiamo quindi “Secondo te il DDL Zan passerà?” rispondono “Speriamo!”.

Le parti sociali e politiche che si oppongono al DDL Zan chiedono emendamenti rispetto ai punti che riguardano la definizione di identità di genere, che nel testo si basa sulle teorie della fluidità. Su questo tema le risposte al nostro sondaggio si spaccano: il 48.2% afferma che il genere coincide con “Un insieme di caratteristiche antropologiche, caratteriali e di funzione sociale oggettivamente determinate dal sesso biologico”, il 44.6% invece le ritiene “Un costrutto culturale a cui vengono connesse delle aspettative da parte della società”.

La questione “è natura o cultura” sembra essere il punto più critico, oltre al quale il dibattito fatica a procedere e pone un freno alle iniziative che hanno in primis l’obiettivo di abbattere ogni discriminazione.

Aprirsi a nuovi modi di pensare e di essere, accettare e riconoscere pienamente i diritti di chi è diverso è anche un’impresa intergenerazionale. Non è un mistero che i giovani siano più propensi a comprendere i fermenti, come le teorie gender, del periodo in cui stanno crescendo.

Eppure, secondo il nostro quarto intervistato, a essere determinante non è tanto l’età numerica, ma il modo in cui sono stati vissuti i propri anni: “Secondo me dipende molto da cosa uno ha fatto uno nella vita, da che esperienze ha avuto, da quanto ha girato il mondo, da quante persone ha avuto la possibilità di conoscere… Ѐ chiaro che se una persona ha sempre vissuto nel suo paesino isolata, con pochi stimoli e con la possibilità di vedere solo poche realtà, è più difficile che sia pronta ad accettare quello che lei reputa diverso”.

L’auspicio dei nostri intervistati è quindi quello di vivere sventolando la bandiera arcobaleno, che “rappresenta la diversità delle persone: ogni persona ha un colore e questi colori assemblati formano una bandiera che dice ‘La diversità è vita!’ ”.

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