Il coming out ai giorni nostri e l’arte di raccontarlo

di Redazione

Alessandro Coppola parla dei temi LGBT+ di cui tratta nei suoi albi illustrati

Nel cosiddetto secolo breve sono state molte le conquiste per l’affermazione dei diritti umani. Oggi mi pare ci sia una preoccupante recrudescenza delle discriminazioni. Purtroppo, quotidianamente le cronache sono intrise di parole come “omofobia”, “razzismo”, “violenza sulle donne”… Secondo te i media amplificano episodi sporadici oppure stiamo attraversando un nuovo oscurantismo?

Il coming out ai giorni nostri e l'arte di raccontarlo - Alessandro Coppola
Alessandro Coppola
Illustratore

Sì, è vero i media tendono ad enfatizzare determinati episodi, tuttavia penso che ci sia in atto una forte chiusura, una paura verso la diversità, negli ultimi anni messa in evidenza proprio dai nuovi media e dagli interventi dei vari influencer, youtuber, artisti ed esponenti del mondo dello spettacolo.

Sono stati proprio i loro coming out  ad accendere il dibattito, perché hanno rivelato la vera identità che per consuetudine o per opportunità veniva nascosta.

Il passo è stato fatto aprendo il dialogo e parlando, ma ravviso anche una chiusura da parte di chi non è pronto ai cambiamenti o non ha gli strumenti culturali per accoglierli”.

Quali dubbi e certezze, tristezze e gioie, paure e curiosità accompagnano un ragazzo o una ragazza nel riconoscimento del proprio orientamento sessuale e nell’acquisire la consapevolezza della propria identità?

Questa è una domanda molto difficile, se penso a me, negli anni ’90, e al mio coming out era tutto un altro mondo! Uscire allo scoperto era molto più difficile, c’erano un forte condizionamento sociale e culturale, la paura del giudizio della gente, il timore di non essere accettati dal nucleo familiare, che per me dovrebbe essere il primo punto di accoglienza. Oggi mi pare che la situazione sia migliorata perché, come dicevo prima, se ne parla e questa generazione approccia la sua sessualità in modo molto più fluido, cercando di superare gli stereotipi sia nei comportamenti sia nell’abbigliamento, l’abbattimento delle barriere visive fa sì che l’approccio sia diverso rispetto a vent’anni fa. È una fase molto interessante che può portare nuovi spunti di riflessione, forse a breve sarà più semplice vedere tutte le diversità come la normalità. Inoltre gli adolescenti di oggi hanno serie tv sempre più inclusive, in esse trovano quei famosi modelli che noi degli anni ’80 e ’90 non abbiamo mai avuto, sappiamo per esempio che tutte le serie d’animazione che arrivavano da Giappone venivano tagliate, censurate. Oggi gli adolescenti possono riconoscersi in personaggi più liberi e di conseguenza riescono anche a definirsi”.

È più facile comunicare la propria identità a sé stessi o agli altri? 

Nessuna delle due, è un percorso che va in parallelo, quando si fa coming out si fa due volte: verso sé stessi e verso gli altri. Non riuscirei a scindere questo percorso”.

Nella fase dell’adolescenza i ragazzi e le ragazze si confrontano con le dinamiche, talvolta feroci, del gruppo. Gli insegnanti, pur mettendo al centro delle loro azioni pedagogiche l’inclusione e l’integrazione, spesso trovano un muro granitico da abbattere: quello degli stereotipi. Secondo te cosa si è fatto e cosa ancora c’è da fare per decostruire gli stereotipi, anticamera dei pregiudizi e delle discriminazioni?

“Secondo me, nei luoghi preposti alla formazione e alla cultura si è fatto poco e in Italia siamo molto indietro. Nelle scuole manca una materia fondamentale come “Educazione sentimentale” che dovrebbe essere integrata a “Educazione alla cittadinanza”. Potremmo così progredire rapidamente. Però dal punto di vista sociale c’è stata un’evoluzione dovuta alle manifestazioni in piazza, per esempio portare i Pride nelle strade d’Italia ha fatto sì che un evento annuale e nazionale abbia, negli anni, allargato il proprio campo d’azione, oggi infatti non si chiama più “Gay pride” ma “Onda pride”; è cambiato il senso della diversità, ha acquisito un significato molto più ampio e complesso”.

Farti crescere la barba non farà di te un uomo” è una storia sospesa fra sogno e realtà. Uno spunto per affrontare il dibattito sugli stereotipi di genere, fisici e sociali presenti all’interno anche della stessa comunità LBGTQ+.

Andrea, il protagonista, seduto in una panchina al parco, compirà un viaggio introspettivo che lo porterà a porsi molte domande… 

Una narrazione poetica, una carezza, per cominciare a riflettere e mettere su le basi per una sana consapevolezza di noi stessi.

Tu per raccontare il tuo coming out e per condurre la tua battaglia culturale contro i pregiudizi hai scelto il linguaggio dei libri, in particolare quello iconografico. Infatti i tuoi progetti editoriali trattano tematiche sensibili.

Tutto è iniziato con un libro che riguarda il mio “venir fuori”, avevo bisogno di dirlo con una modalità meno banale, più mediata, attraverso la bellezza delle immagini e del testo! Inoltre ho pensato che potevo creare uno strumento che sarebbe servito anche ad altre persone che come me non riuscivano a trovare il modo di comunicarlo. Poi mi sono accorto che ci sono tanti altri temi, cosiddetti tabù e che l’editoria per ragazzi affrontava parzialmente, così ho pensato che potesse essere una buona idea continuare a progettare albi illustrati legati a queste tematiche. Oggi anche attraverso il fumetto, un linguaggio che sto sperimentando e che mi affascina molto”.

La legge Zan contro l’omofobia propone di prevenire e contrastare la discriminazione e le violenze basate sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Il testo prevede l’estensione dei cosiddetti reati d’odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa (articolo 604 bis del codice penale), a chi compia discriminazioni verso omosessuali, donne, disabili. Il dibattito è molto acceso. Tu cosa ne pensi?

Penso che le persone che si contrappongano a questa legge non fanno l’interesse sociale ma solo una campagna di sterile ostruzionismo, oltretutto è l’estensione di una legge che già esiste, quindi andare ad integrare e a cogliere tutte le diversità che sono rimaste fuori per il semplice fatto che antropologicamente la società è cambiata è doveroso, nei confronti di quelle minoranze che sono state escluse dalla legge vigente. Chi si oppone spesso lo fa anche a causa della scarsa informazione, mi riferisco ai dibattiti politici delle scorse settimane, ho sentito portare argomentazioni che non hanno nulla a che fare con la proposta di Alessandro Zan che anche l’istituzione di una giornata dedicata all’omotransfobia, un’occasione per parlare e conoscere senza demonizzare a priori. Auspico che il DDL passi perché sarebbe un bel passo avanti verso il cambiamento culturale”.

Intervista di Daniela Rossi

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