Il cibo è una cosa seria e deve dare ben-essere!

di Micaela Faggiani

La food blogger Anna Maria Pellegrino ci parla del “buon cibo” che rappresenta ben-essere e il rispetto

Anna Maria Pellegrino è docente, cuoca, autrice, food e travel blogger. Vive a Padova ed è un’accademica della cucina italiana. 

Ha un suo blog www.lacucinadiqb.com/ e insegna, oltre a cucinare, anche storia  e cultura del cibo.

Perché per me il cibo – sottolinea Anna Maria – è comunque cultura e benessere”.

Se si analizza la parola “benessere” – continua Anna Maria Pellegrino – ben-essere è essere qualcosa che  ci fa in un certo qual modo star bene. Se andiamo indietro nel tempo, nel IV secolo avanti Cristo, pensiamo ad Ippocrate, medico che disse Sia il cibo la tua medicina . Parliamo poi del Medioevo con la teoria degli umori, in cui bisognava  riequilibrare gli umori del nostro corpo. Come? Assumendo determinati cibi come ad esempio un piatto equilibrato, caldo e secco, freddo e umido, come lo è oggi il prosciutto e melone… Niente di più buono in questi giorni!

Nutrirsi bene con tutti questi accorgimenti, conti calorici e proteici non sembra a volte un “lavoro”? Soprattutto se inserito nelle attività quotidiane? 

Certo che sì, obiettivamente noi cresciamo con delle esigenze diverse. Appena nati ne abbiamo alcune, dobbiamo potenziare lo sviluppo, per esempio, del sistema nervoso  centrale. E poi crescendo le fasi della nostra vita ci portano ad un adattamento quasi quotidiano di quello che chiediamo al nostro corpo, per essere sempre al meglio. Noi donne poi siamo particolarmente sensibili.

E poi abbiamo tante e diverse  fasi: l’adolescenza, la donna giovane, la donna matura  e via dicendo. Fino alla menopausa, che adesso è diventata, tra virgolette ‘un momento molto importante della vita della donna’, contrariamente a quello che accadeva fino al secondo dopoguerra. Perché prima di tutto ci arriviamo (e non è una cosa da poco!), poi anche perchè ci arriviamo in forma. Siamo cinquantenni, io ne ho cinquantacinque, siamo donne che hanno ancora tantissimi anni davanti e tantissimi interessi. Abbiamo ancora tantissimo da dare ed è giusto che il nutrimento sia per noi quasi una medicina”.

 

E a proposito di buone cucine, di food del momento?

Prima della pandemia avrei parlato di tutte le novità e di tutte le mode che arrivano dalle grandi metropoli, che poi noi decliniamo di solito con qualche anno di ritardo, senza realmente pensare cosa comportano determinate scelte al netto del benessere degli animali, di chi produce il cibo e della loro giusta remunerazione. Per fare un esempio pensiamo alla moda che abbiamo avuto anni fa dell’amaranto e della quinoa, che sono degli pseudo-cereali, la nostra cultura gastronomica già possiede varietà di pseudo-cereali: pensiamo al  grano saraceno, alla segale… Quinoa e amaranto sono cibi rituali per alcune popolazioni che vengono dall’altra parte del mondo. Noi consumandone in così grandi quantità in poche parole abbiamo creato quasi dei migranti economici, perché li abbiamo  messi nelle condizioni di non poter più accedere al loro il cibo, al cibo della loro quotidianità.  Pensiamo all’avocado, che adesso mettiamo dappertutto. Sapete cosa sta comportando nella zona di Valparaiso dove ormai è diventata una commodity? Oggi forse, dopo la pandemia, c’è più attenzione da parte dei ragazzi giovani alla ricerca, alla verità, alla tracciabilità del cibo, all’essere consapevoli che ogni nostra scelta è una scelta per il  pianeta. Quindi fondamentali sono le coltivazioni di un determinato tipo e il rispetto di quello che abbiamo a disposizione per poi lasciarlo agli altri, possiamo fare questo, se vuoi, semplicemente seguendo la dieta mediterranea”.

“Riprendiamo il fisiologo americano Ancel Benjamin Keys – continua la food blogger–  che negli anni  cinquanta scoprì, in quel del Cilento, la dieta mediterranea, nella quale lui aveva inserito come studio il cibo buono: proteine vegetali, tanta verdura, tanta frutta, l’acqua, il formaggio, il bicchiere di vino, carne solo nelle giuste occasioni. Ma soprattutto lui aveva inserito lo stile di vita, che era quello della serenità, dei respiri, della pacatezza e degli sguardi che alzi e ti riempi gli occhi di azzurri, di marroni, di verdi. Ecco, è proprio questo il consiglio che vi lascio, un consiglio per un cibo buono. Anche per noi che viviamo in città, cerchiamo qualche produttore locale, magari cerchiamo qualcuno che produce  formaggio ma chiama le caprette per  nome, qualche contadino che va fuori dal suo negozietto e raccoglie direttamente dalla terra la zucchina, la melanzana, il pomodoro e tutte le verdure  profumatissime, scaldate da questo sole così intenso di questa estate. È un’idea di stagionalità, ma con una attenzione al benessere.

 

Si parla dunque “chilometro zero” o è una definizione scorretta?

Diciamo che è meglio usare il termine di “chilometro buono”, che poi è quello che abbiamo appena ribadito. Quindi la sostenibilità, ma anche il rispetto: rispetto del territorio, rispetto di chi produce, della fatica e rispetto degli animali.  

E per chi comunque quest’estate vuole o deve pensare alla dieta e non sa come destreggiarsi tra le tante diete proposte?

Appelliamoci sempre al ben-essere, nel senso, come dicono i nutrizionisti, non più il mero calcolo delle calorie o  l’utilizzo di quei prodotti che ci possono far drenare i liquidi anche in maniera un  attimino più artificiale, perché l’acqua comunque è importante per le nostre cellule. È bruttino da dire, ma ci vuole l’ attività fisica che fa parte  anch’essa di questo benessere quotidiano. Quindi una alimentazione che sia parca, ma non povera, nel senso ricca di tutto quello che ci serve.

In particolar modo colazioni come se non ci fosse un domani fino a mezzogiorno e a pranzo rimaniamo giustamente leggeri, la cena, come raccontano i  proverbi, quasi la cena del povero. Tanta acqua ovviamente, perché l’acqua fa bene e perché no, anche un buon bicchiere di vino, perché anche il vino  è una buona spremuta di natura.

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