Fuggito dai talebani, oggi accoglie tre bambini

di Redazione

E’ la storia di Raimy, fuggito nel 2010 dall’Afghanistan. Oggi, che ha un lavoro e una sua famiglia, ospita tre minori scappati come lui.

Raimy era un predestinato. Quand’era poco più che un ragazzino i talebani lo avrebbero voluto arruolare. Lo portavano nei luoghi degli attentati assieme ad altri coetanei più o meno giovani, a raccogliere i resti dei cadaveri smembrati, dicendogli che anche lui un giorno avrebbe potuto fare qualcosa di altrettanto importante per guadagnarsi un posto speciale.

E Raimy, senza rendersi perfettamente conto dell’orrore, a casa raccontava con entusiasmo i progetti che questi uomini avevano in serbo per lui.

Nel 2010 sono arrivato a Venezia, scappando dalla guerra, dagli attentati. Sono stati mia mamma e mio zio a dirmi di andare via, altrimenti sarei diventato uno di loro, perché erano anche nei villaggi, non solo in città e non c’era alternativa: o devi essere militante con loro o ti mandano a fare attentati. Avevo 14 anni, grazie a mia mamma e mio zio sono arrivato via terra in Italia”.

Raimy ha impiegato circa quattro anni per arrivare qui. Tutto a piedi, nelle mani dei trafficanti di uomini. Prima hanno raggiunto il Pakistan, da lì l’Iran, poi la Turchia. In nave sono passati in Grecia, quindi Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria e Italia.

È stato un viaggio lunghissimo. – racconta Raimy – In macchina ci sarebbe voluto pochissimo tempo, ma a piedi non finisce più. In ogni paese sono rimasto cinque-sei mesi con i trafficanti che mi tenevano anche per due giorni senz’acqua e senza mangiare”.

Ma la tua famiglia ha pagato per farti scappare?

“I miei parenti hanno pagato circa 12 mila euro per farmi fuggire. In ogni villaggio, assieme a me, c’era qualche afghano e altre persone provenienti da altri paesi. A volte ero solo, perché se non pagavi dovevi rimanere con loro. Quando in Afghanistan pagavano per te allora i trafficanti ti lasciavano andare”.

Che pensieri hai avuto durante quel viaggio lunghissimo?

Il mio unico pensiero era cercare la libertà, un posto per vivere in pace. Oggi ho la libertà e anche la pace”.

Quando è arrivato in Italia è stato come scoprire un nuovo mondo. Gente nuova, cibo nuovo, le donne che potevano camminare tranquillamente senza essere coperte dal burqa.

E’ sempre stato un ragazzo intraprendente Raimy e volenteroso. Per questo non gli è stato difficile trovare presto un impiego.

Il primo lavoro che ho fatto è stato il magazziniere in un supermercato a Pordenone. Ho fatto sette otto mesi lì. Poi ho lavorato con i rifugiati come interprete. Da un po’ di anni faccio il pizzaiolo. Ho fatto un corso di tre mesi e poi uno stage per imparare a fare la pasta”.

Adesso fai la pizza meglio degli Italiani?

Non esageriamo! Ma faccio del mio meglio”.

Fuggito dai talebani, oggi accoglie tre bambini

Ha lo sguardo fiero Raimy, quando parla del suo lavoro e della stabilità che è riuscito a crearsi. Così, quando è capitato di poter dare una mano a chi si trovava nella sua stessa condizione, non si è girato dall’altra parte. Oggi, che ha una famiglia tutta sua, è riuscito a far arrivare in Italia e ad ospitare tre ragazzini, com’era lui all’epoca in cui è fuggito. Sono due femmine e un maschietto, i suoi cognati. Proprio così.

Mio suocero lavorava nell’esercito per il governo ed era ricercato dai talebani. Ora rischia la vita perché loro lo stanno cercando. Ho fatto subito richiesta al Ministero dell’Interno e sono riuscito attraverso una foto a trovarli e a farli venire a Roma con un aereo militare. Ora stanno con me a Padova”.

Non ha fatto tutto da solo, Raimy, ma ha bussato a tutte le porte possibili e più sensibili. Portarli in Italia non è stato facile, ma è adesso che comincia la parte più complicata, perché si tratta di ragazzini feriti. “Stiamo lavorando con loro perché hanno paura – racconta. Quando chiudo la porta mi chiedono sempre quando torno, vorrebbero chiudere sempre la porta a chiave. Io devo rassicurarli e dire loro che con me qui sono al sicuro”.

La famiglia si è allargata improvvisamente e i problemi non mancano per Raimy che ha un lavoro part-time, una moglie che non sta bene e una bimba di pochi mesi da mantenere.

Abito in una casa piccolissima. Prima eravamo io e mia moglie e la nostra bambina che ha 10 mesi. Per il futuro pensavamo di prendere una casa più grande, ma poi è arrivata la crisi afghana. Era mio dovere portare in salvo questi bambini. Adesso dormiamo nel salotto, io nel divano o per terra. Stiamo cercando un appartamento più grande, ma non è facile. In altri paesi gli aiuti arrivano dopo pochi giorni, perché sanno che sono richiedenti asilo e sono scappati dalla guerra, minacciati dai talebani. Hanno perso la libertà, c’è chi andava a scuola, ma alle bambine non è più permesso studiare. Conosco uno zio che in Inghilterra è stato chiamato subito e adesso ha una casa grande. In Germania, se la famiglia cresce e la casa è piccola ti chiamano loro per trasferirti in una casa più grande.

In Italia forse arrivano gli aiuti, ma molto tardi. Ho parlato con gli assistenti sociali, ma ancora non si vede niente. Qui abbiamo tante case chiuse con i lucchetti che non vengono date ai bisognosi. Io pago, acqua, luce e gas, pulisco e tengo bene. L’Italia è un paese meraviglioso che ha tante risorse e deve fare la sua parte”.


scritto da Lisa De Rossi e Alessia Da Canal

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