Donne, LGBT+, migranti, senza dimora

di Francesca Campanini

Le realtà padovane si sono incontrate al Festival della Notte dei Senza Dimora, Avvocato di Strada e Cantiere delle Donne hanno organizzato un incontro. Il tema e l’appello riguardano un approccio intersezionale che tenga conto di tutte le vulnerabilità in gioco, per degli interventi efficaci e lontani dalle semplificazioni

In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della povertà del 17 ottobre le realtà sociali di Padova, guidate dall’associazione Avvocato di Strada, si sono attivate per coinvolgere e informare la popolazione, lo hanno fatto organizzando il Festival della Notte dei Senza Dimora.

Tra i numerosi eventi, il 10 ottobre in particolare si è parlato di generi ai margini e delle molteplici vulnerabilità che alcune persone presentano sulla strada, essendo oltre che senza dimora magari anche donne, transgender, migranti…

A moderare c’è Antonella Benanzato, giornalista e co-fondatrice del Cantiere delle Donne, associazione coinvolta nel Festival che lavora per l’empowerment femminile con un approccio trasversale, prendendo cioè a cuore i diritti di tutte e tutti. “Noi nasciamo nel gennaio 2020. Siamo diventate un gruppo che giorno per giorno online ha costruito una comunità che cerca di portare le tematiche di genere femminili all’attenzione di tutti, ma siamo ovviamente attente ai diritti di tutti coloro che non hanno voce” – spiega Benanzato.

Il focus tematico dell’incontro sono i risultati portati alla luce dal lavoro delle ricercatrici dell’INAPP Elena Caramelli e Claudia Tagliavia Dalla violenza alla strada. Primi esiti di un’indagine su donne straniere e persone LGBT+ senza dimora”. Il contributo importante che questa occasione offre è la possibilità di confronto tra chi lavora direttamente sulla strada per l’assistenza delle persone in difficoltà e chi studia analiticamente le tendenze e i fenomeni sociali per comprenderli meglio e cercare risposte adeguate.

Sono l’operatore di Equality Onlus Stefano Cosmo e la volontaria dell’Associazione Mimosa Giulia Giardina a fornirci uno spaccato di cruda realtà. Ci parlano delle tragiche condizioni in cui molte persone nella nostra società si trovano a vivere, che sono tra l’altro peggiorate con la pandemia.

Durante la pandemia io ho ricevuto personalmente anche cinque telefonate al giorno da parte di persone che avevano fame. Io non so se qui ci sia qualcuno che ha ricevuto una telefonata da una persona che ha fame, ma non lo auguro a nessuno. Erano situazioni di persone che il giorno prima avevano una casa e il giorno dopo sono state buttate fuori, perché erano irregolari, perché non soddisfavano i requisiti per rientrare nelle categorie tutelate dai DPCM. Nell’immaginario collettivo spesso ci si raffigura la persona senza dimora come qualcuno che vive dormendo sui cartoni da non so quanto tempo, ma il mondo delle persone senza dimora è molto vasto” – racconta Cosmo.

Una delle attività che Equality svolge collaborando con Mimosa riguarda le operazioni di contatto per fornire assistenza alle lavoratrici sessuali di strada, spesso migranti e appartenenti al mondo LGBT+. Una “categoria” di persone marginalizzata, non tutelata, che ha sofferto più di altre il lockdown vista la complessa intersezione di vulnerabilità che presenta. Lo specifica Giulia Giardina: “Le vulnerabilità delle persone vanno considerate non come somme ma come peculiarità. Ovviamente ciò presuppone un intervento molto complesso e anche un po’ utopico, perché non si possono tenere in considerazione tutte le varianti, però bisogna aprire uno spazio a tutte le complessità e diversità di identità. Pensare interventi solo sulla base dello stereotipo della persona in strada uomo, omosessuale, con ceto sociale di un certo tipo e italiano dà delle risposte parziali che non sono risposte. Quindi il mio appello è di rifarci a queste sfumature”.

L’appartenenza al mondo LGBT+, viste le strutturali discriminazioni che gli apparati burocratici adottano nei confronti di queste persone, ha quindi l’effetto di complicare ulteriormente la loro situazione.

Questo avviene soprattutto per quanto riguarda i tentativi di regolarizzazione in quanto migranti.

La ricercatrice Elena Caramelli coglie la palla al balzo per chiedere a questi operatori sul campo riscontro riguardo a quanto è emerso dalla sua ricerca.

Prendendo in esame le richieste d’asilo delle persone migranti senza dimora che appartengono al mondo LGBT+, si nota che oltre che di casa, salute e lavoro, esprimono la forte necessità di ricevere assistenza nella preparazione per l’incontro con le Commissioni territoriali e con i Tribunali per l’ottenimento della protezione internazionale.  

Ne emerge che le prassi burocratiche e legali a cui sono sottoposti i richiedenti asilo siano fortemente impattanti sulla loro sfera psicologica, volendo evitare di usare eufemismi le si dovrebbero definire a tutti gli effetti esperienze di violenza. Riporta Elena Caramelli: “Ci hanno molto colpito le testimonianze che raccontavano come queste siano interrogazioni umilianti, aggressive, con un’eccessiva burocratizzazione. Spesso tra l’altro, ci dicevano, la maggior parte dei richiedenti sono uomini molto giovani, magari alle prime esperienze di tipo sessuale, quindi con difficoltà ad esprimersi e a fare dei coming out, a raccontare… Per di più in una lingua straniera e in una situazione molto stressante a livello emotivo, davanti a un giudice”.

Giulia Giardina sottolinea come queste prassi siano agghiaccianti e provochino una riattivazione del vissuto traumatico a cui l’individuo è stato sottoposto nel paese d’origine, il quale spesso è proprio il motivo della fuga e della migrazione.

In merito alla condizione delle donne cisgender sulla strada invece è la ricercatrice Claudia Tagliavia a sottolineare le difficoltà: “Quando arrivano in strada, ci raccontano gli operatori, queste donne hanno esaurito tutte le loro risorse, non solo finanziarie ed economiche, ma anche relazionali, psicologiche e fisiche. Dunque la condizione di queste donne, in particolare italiane e spesso anziane, è estremamente grave. Molto spesso più grave di quella che si riscontra tra gli uomini. Gli interventi di recupero di questa marginalità cronicizzata sono estremamente difficili. Occupandoci da tempo della questione della grave marginalità sappiamo che interventi indifferenziati non colgono i problemi e i bisogni delle persone che stanno in strada.

In particolare ci sono delle minoranze i cui bisogni non vengono presi in considerazione da molti interventi messi in campo, tra queste io penso alle donne. Le donne in strada secondo l’ISTAT sono il 15%… A mio avviso questa è una percentuale che sottovaluta e sottodimensiona il problema. Quella che emerge dai racconti degli operatori è una realtà estremamente diversa rispetto a quella maschile. Per questo gli interventi dovrebbero essere specifici”.

Per concludere, l’osservazione di Stefano Cosmo, insieme al suo auspicio che ci sentiamo di condividere: “Noi ci siamo trovati, come dicevo prima, a ricevere richieste d’aiuto… Con questo però non vorrei far passare il messaggio che le persone senza dimora o quelle con cui lavoriamo noi siano esclusivamente soggetti passivi. Stiamo parlando di persone che hanno un grossissimo bagaglio di esperienza e a volte grandissima volontà e determinazione. Quindi non vediamoli solo come soggetti passivi, ma come soggetti attivi che cercano, in tutti i modi a volte, di trovare una stabilizzazione, ma spesso per ragioni burocratiche non ci riescono – e prosegue – Qui entriamo in gioco noi. Bisogna dare concretezza ai diritti, non lasciarli solo sulla carta stampata, bisogna tornare a lavorare, lavorare bene, nei luoghi dove ci sono tutte le vulnerabilità e farlo con personale formato, con educatori, operatori… La validità di questi interventi è stata ampiamente dimostrata. Torniamo e continuiamo a lavorare potenziando questi strumenti, poi il tempo ci dirà se era giusto oppure no, ma intanto cominciamo a farlo concretamente”.

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