Make noise: la crociata per i diritti delle donne

di Valeria Iotti

Silvia Dumitrache è la paladina dell’esercito di donne lavoratrici, essenziali ma invisibili, che reggono economie transnazionali e equilibri famigliari. Cosa si fa per loro?

C’è una battaglia per rivendicare diritti fondamentali che si sta combattendo qui, in Italia e in Europa, e che riguarda il lavoro, le donne, le madri e che parte da una figura diventata ormai centrale nella gestione delle famiglie italiane: la badante o assistente familiare. L’ultimo atto in ordine di tempo è il ricorso per orfani bianchi da parte di Vasilica Baciu, donna romena emigrata nell’Europa occidentale per cercare lavoro e dare un futuro alla propria famiglia, presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo. L’obiettivo è fare in modo che i governi degli stati comunitari recepiscano con fatti concreti le raccomandazioni dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che, il 19 marzo 2021, ha riconosciuto come una violazione di massa dei diritti umani il fatto che i governi non intervengano per tutelare le donne costrette a emigrare per motivi economici, agendo sulle cause della povertà, garantendo accessi legali, tutela socio-sanitaria per i minori lasciati indietro e possibilità concrete di ricongiungimento famigliare. Vasilica Baciu è stata supportata in questa azione coraggiosa dall’Avvocata Sonia Sommacal del foro di Belluno e dall’Avvocata Angela Maria Bitonti del Foro di Matera. A coordinare il tutto c’è Silvia Dumitrache, romena, da anni in Italia, profonda conoscitrice della realtà migratoria europea e della condizione particolare delle donne, sulle cui spalle pesa sia il lavoro all’estero sia il sostentamento della famiglia di origine.

Parliamo di emigrazione femminile e famiglie transnazionali, di un fenomeno in costante crescita che riguarda in particolare l’Italia: il paese con il più alto numero di badanti al mondo. Non a caso si chiama “Sindrome Italia” la sindrome socio-medicale che colpisce sempre più donne costrette a lasciare a migliaia di chilometri i propri figli, vittime di depressione, sensi di colpa, solitudini estreme, nei casi più gravi gesti estremi. Da un lato le madri, dall’altro i cosiddetti orfani bianchi, bambini e bambine lasciati per forza di cose indietro, a casa, seguiti da figure famigliari spesso fragili. Secondo l’Unicef, questo fenomeno riguarda 350.000 minori nella sola Romania e sta generando conseguenze gravi, perché i bambini e le bambine, privi di un riferimento genitoriale forte, maturano negli anni della crescita difficoltà socio-relazionali importanti. Per cercare di sciogliere i nodi di questa realtà complessa, valorizzare e supportare la condizione delle immigrate romene, Silvia Dumitrache ha fondato ADRI, associazione donne romene in Italia, membro di Romanian Women’s Lobby (ROWL) e parte di European Women Lobby. Perché la battaglia per i diritti delle badanti è una battaglia per I diritti di tutte le donne. Le abbiamo chiesto di accompagnarci nella comprensione di questo fenomeno.

Quante sono le badanti oggi in Italia? In media, che età hanno e da dove provengono?

Secondo il Censis le badanti attive oggi in Italia sono circa 1.655.000. Negli ultimi anni sono aumentate del 53% perché la popolazione italiana continua a invecchiare. Di questi, 77% sono stranieri, 82% donne, in media fra i 36 e i 50 anni. Sempre secondo il Censis, si arriverà ai 2 milioni nel 2030. La maggior parte delle assistenti familiari o badanti arrivano da nazioni vicine, cercano di allontanarsi il meno possibile: Romania, Moldavia, Polonia, Ucraina, Russia ultimamente, Bulgaria. Le più numerose sono le romene, fanno parte dei circa 1.200.000 cittadini romeni in Italia, il 54% donne, molte di loro impiegate, appunto, come badanti. Sottolineo il ruolo fondamentale delle donne: sono loro a occuparsi di mantenere la famiglia di origine con il proprio lavoro all’estero e a supportare le famiglie italiane di cui si occupano ogni giorno. Dovremmo, lo dico come donna romena che lavora all’estero, sentirci molto più importanti di quanto non facciamo. Anche la politica italiana ci ha definito ‘essenziali’, ma, nei fatti, siamo invisibili lo stesso“.

Attraverso quali reti, formali o informali, arrivano queste lavoratrici in Italia e come fanno a trovare lavoro? Ci sono differenze fra come funziona ora e come funzionava vent’anni fa?

“Il sistema funziona in realtà in un modo molto simile, soprattutto attraverso contatti personali o passaparola. Ѐ fortunatamente diminuito il ‘mercato nero’ dei posti di lavoro, per quanto ancora resistano delle sacche. Chi sa di un possibile posto di lavoro, chiede denaro per passare i contatti. Capita di arrivare all’indirizzo pattuito e trovare un’altra badante già impiegata. Questo genere di situazioni si alimentano nella clandestinità, il ‘nero’ è purtroppo quasi ‘normale’ quando un pensionato non si può permettere di pagare regolarmente, con la propria pensione, più di quattro ore al giorno di servizio, che sono insufficienti. Questa quota di ‘nero’ che resiste è nota allo Stato italiano, ritorna anche nelle statistiche, ma, avendo lasciato tutta questa quota di welfare sulle spalle delle famiglie, nessuno interviene. Questo non è giusto perché, come è successo in questi mesi di pandemia, il risultato è una triste ‘guerra fra i poveri“.

Se una donna venuta in Italia per lavorare si trova in difficoltà a chi si può rivolgere?

Questo è un aspetto rispetto al quale ci sono grandi differenze fra il presente e il passato, anche se dipende ancora molto dalla regione italiana nella quale ci si trova. Ad esempio, il Comune di Milano ha attivato uno sportello che funziona molto bene che fa da tramite fra chi cerca e chi offre lavoro, tutto con regolare contratto e anche consulenza psicologica. Ci sono anche associazioni di datori di lavoro che si occupano sia della famiglia che delle lavoratrici. Manca ancora la formazione delle famiglie ‘ospitanti’, ci sono anche grandi differenze fra nord e sud d’Italia, perché nel sud, anche a causa di diverse politiche pubbliche e di welfare, la situazione per le lavoratrici è più difficile. Come ADRI stiamo facendo la nostra battaglia, in Italia e in Romania, per i diritti delle donne e dei bambini e ora finalmente, dopo anni e anni di articoli e reportage, anche lo stato romeno sta iniziando a muoversi e così quello italiano, anche se con passi fin troppo discreti. Noi ci sforziamo di ‘make noise’, di fare rumore“.

Cosa dice la raccomandazione del 19 marzo 2021 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa?

C’è un’urgenza per le donne migranti lavoratrici, per le loro famiglie ma anche per le famiglie presso le quali lavorano perché ovviamente se la ‘badante’ non sta bene, ha un problema serio di salute psichica o emotiva, ne risente anche la sua capacità di cura. Avere lavoratori in salute è un interesse primario del datore di lavoro, così come l’interesse primario del governo romeno dovrebbe essere quello di offrire delle possibilità di lavoro dignitose e limitare il ricorso all’emigrazione. La risoluzione dice, a grandi linee, che i paesi di origine dei flussi migratori dovrebbero impegnarsi a offrire lavoro e possibilità ai propri cittadini così da non obbligarli a un esodo, abbandonando i figli a casa perché questo viola i diritti umani. Allo stesso modo, anche i paesi di arrivo dovrebbero offrire la possibilità ai lavoratori migranti di avere buone condizioni di vita, il che implica portare con sé i propri figli, che senz’altro non possono essere ospitati presso la famiglia dove si lavora, che spesso con fatica trova una stanza per accogliere la badante stessa. Ma anche se ci fosse una casa grande, chi può seguire i bambini, quando in tante occasioni l’orario di lavoro va ben oltre quello stabilito per contratto? Queste situazioni di disagio sono note, ma nessuno fa niente perché alla fine sono le donne che trovano sempre una soluzione, ciascuna per sé, ma è ora di cambiare questo sistema. I governi approfittano del valore del lavoro di questi migranti, le rimesse degli emigrati romeni li rendono i primi investitori stranieri in Romania, quelli che portano più soldi nel Paese, e al governo questo fa comodo. Dovremmo unire la nostre forze per dare soluzioni chiare, trasparenti e legali che aiutino tutti perché non si arrivi alla cosiddetta sindrome Italia, che è una forma di depressione del tipo burn out, che quando non viene scoperta per tempo può portare alla morte della persona. Va bene fare i sacrifici ma qui ci sono conseguenze gravi per i bambini e le bambine: analfabetismo, abbandono scolastico, a volte addirittura il suicidio, tutto perché l’assenza della madre non si può colmare“.

Cosa succede quando una madre parte? Che consiglio puoi dare?

“Ancora prima di partire bisogna rendere partecipi i piccoli, perché si sentano parte della famiglia e della scelta, secondo età e capacità, e perché non si sentano abbandonati. Spesso i genitori pensano di stare via pochi mesi, ma il periodo quasi sempre si allunga e capita che i bambini si sentano sbagliati, in colpa, a causa della lontananza della madre. Per questo meglio evitare di dire ‘sono partita per te’. La comunicazione è fondamentale, così come è importante che si crei un cerchio di protezione intorno al bambino e alla famiglia che resta, con famigliari e assistenti sociali. La nonna del bambino è anche una madre molto preoccupata per la figlia, per cui è fondamentale riuscire a rendere la partenza la più sicura possibile: la migrante conosce il paese dove arriverà? Si è praparata? Conosce la lingua? Sa quali sono i suoi diritti? Può leggere e capire il proprio contratto di lavoro? Ha dei riferimenti, dei numeri di telefono di istituzioni che possano aiutarla? Anche associazioni come la nostra sono difficili da trovare, se non si hanno dei riferimenti in partenza, perché non abbiamo una sede e ci basiamo totalmente sul volontariato e sulla generosità di consulenti che ci prestano gratuitamente la loro opera. Ci siamo, ma bisogna essersi informati prima“.

Fare rumore diventa importante per far capire che ci sono appoggi. Come fate?

L’ottimo rapporto che abbiamo con i mass media ci aiuta a farci conoscere, sia in Italia che in Romania.

Silvia Dumitrache e lo scrittore Marco Balzano
Silvia Dumitrache e lo scrittore Marco Balzano

A questo proposito, lo scrittore Marco Balzano mi ha contattata due anni fa perché voleva scrivere un libro sulla situazione delle badanti romene, è venuto con me in Romania, abbiamo iniziato una collaborazione che è diventata amicizia e tuttora sono felice di accompagnarlo, quando possibile, nelle presentazioni del libro.

Speriamo che questi messaggi arrivino anche a chi prende le decisioni per mettere in campo politiche pubbliche a supporto dei cittadini, di ogni Paese, anche per valorizzare un lavoro come quello della badante, che è molto importante e coinvolge persone sempre più formate.

Il problema è generale delle donne lavoratrici, dovunque. L’Italia è un paese fondatore dell’Unione Europea e merita condizioni migliori per le proprie donne“.

Che consiglio daresti a una donna che vuole venire in Italia a lavorare? E un consiglio per la famiglia?

La donna si deve informare bene sul contratto di lavoro, ha diritto di richiederlo in lingua romena e di farsi assistere nella lettura da persone competenti perché sia consapevole di diritti e obblighi. Dove c’è poca chiarezza c’è il rischio che ci sia un traffico clandestino. Quando si lascia il figlio occorre segnalare presso un notaio il riferimento del tutore e dove si andrà. Per la famiglia che offre il lavoro è importante cercare di accogliere al meglio la badante, per crearle una condizione in cui possa lavorare bene. Se ci fosse un mediatore sarebbe ancora meglio, per evitare qualsiasi tipo di abuso. La pandemia ha messo in luce tante situazioni ancora irregolari. Ѐ importante fornire servizi sia per le donne italiane che per le donne migranti, è importante che i fondi che arriveranno considerino i bisogni delle donne lavoratrici. Finché saranno gli uomini a decidere come spendere i soldi non si risolveranno mai le necessità delle donne. Ognuno deve prendersi la propria responsabilità, evitare di lasciare sempre alle donne il ruolo di chi risolve tutto. Sarebbe interessante vedere cosa succederebbe se le donne smettessero di lavorare, per le proprie famiglie e per il proprio lavoro, per un’ora. Si metterebbe in ginocchio tutto il sistema e chi di dovere forse capirebbe che deve dare a tutti gli strumenti per vivere con dignità“.

Potrebbe interessarti anche...

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da parte di questo sito web.